La giustizia tributaria italiana, pur nella sua complessità e nelle peculiarità dei singoli uffici sparsi su tutto il territorio nazionale, rappresenta una fedele summa dei problemi e delle discrasie del sistema fiscale ed impositivo da un lato e del sistema giudiziario dall’altro.
Ipertrofia normativa, eccessiva burocratizzazione delle procedure, distacco tra la realtà fattuale e le norme astratte, costi di accesso alla giustizia proibitivi, nonché un generale, evidente sbilanciamento di poteri in favore dell’Amministrazione Finanziaria ai danni del cittadino, rappresentano tutti elementi caratterizzanti (in negativo) il sistema giudiziario tributario (e non solo) italiano.
A tanto si aggiunga la mole imponente di carico arretrato pendente sia dinanzi le Commissioni Tributarie provinciali e regionali sia in Corte di Cassazione, che finisce per creare un vero e proprio circolo vizioso nella giustizia tributaria.
Come affermato dal Presidente del Consiglio della Giustizia tributaria, Antonio Leone, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2022, il contenzioso tributario pendente presso la Corte di Cassazione ammonta ad un valore complessivo di circa 40 miliardi di euro mentre quello pendente presso il primo e secondo grado di giudizio di merito arriva a toccare quota 17 miliardi.
Numeri impressionanti che finiscono per porre in primo luogo sul banco degli imputati il sistema fiscale ed impositivo, un sistema costruito su un quadro normativo labirintico e farraginoso ed esasperatamente punitivo nei confronti dei contribuenti, anche laddove questi ultimi siano caduti in fallo pur avendo agito in buona fede.
D’altronde la metà dei circa 60 miliardi di contenzioso ha ad oggetto cause di importo pari o inferiore ai 3.000 euro, ad ulteriore riprova del fatto che, con ogni probabilità, un sistema impositivo e di riscossione informato a criteri di maggiore collaborazione ed apertura verso il contribuente potrebbe condurre ad una forte scrematura delle vertenze giudiziarie, con palesi vantaggi per le casse dello stato, per il sistema giudiziario e per lo stesso contribuente.
Contribuente che, per giunta, deve fare i conti con Commissioni Tributarie ed organi giudicanti che tanto in primo, quanto in secondo grado, non sembrano particolarmente “ben disposti” nei suoi confronti. Basti pensare che nel 2021 in primo grado – dinanzi le Commissioni tributarie provinciali – i giudizi interamente favorevoli all’Ente impositore sono stati oltre il 50 per cento del totale, a differenza di quelli interamente favorevoli al contribuente, che complessivamente sono stati di poco superiori al 25 per cento, con la restante quota di procedimenti conclusisi con soccombenza reciproca tra le parti o con esiti diversi. Per quanto riguarda i giudizi incardinati presso le Commissioni Regionali in secondo grado i numeri sono pressoché identici.
Non è forse un caso, dunque che i giudizi iscritti a ruolo nel 2021 presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali siano stati “solo” 120.511, rispetto all’anno precedente, quando si era raggiunta quota 157.400.
Tale tendenza al ribasso è senz’altro conseguenza della congiuntura emergenziale peraltro ancora in essere, ma al contempo potrebbe rappresentare il preoccupante sintomo di una progressiva sfiducia nella giustizia tributaria che serpeggia tra i contribuenti che si trovino alle prese con le frequenti controversie di natura fiscale. Contribuenti che sempre più preferiscono attendere condoni e rottamazioni varie piuttosto che affidarsi alla “lotteria” delle vertenze giudiziarie in cui peraltro, numeri alla mano, si parte già con buone probabilità di sconfitta.
Insomma, la giustizia tributaria per come attualmente impostata, restituisce una sconfortante impressione di distacco tra i diritti costituzionalmente garantiti e i loro titolari, ossia quei cittadini frustrati e diffidenti nei confronti dell’amministrazione pubblica della Giustizia che tutti insieme formano una pericolosa crepa nei pilastri dell’impianto democratico del nostro paese.
*Studio Viglione-Libretti & Partners