A breve distanza del popolare social di immagini, anche la piattaforma di Mark Zuckerberg si appresta ad eliminare i “mi piace” dalle bacheche degli utenti. Cambio di paradigma o nuova strategia di business?
Dopo pochi mesi dall’avvio della sperimentazione lanciata da Instagram, anche Facebook si appresterebbe a dire addio ai “like” su ogni post, commento o immagine caricata dagli utenti sul celebre social network.
Se Mark Zuckerberg prenderà davvero ispirazione dai cugini di Instagram, in futuro accanto ad ogni immagine o pensiero liberamente pubblicato nelle bacheche personali non verrà più visualizzato, come adesso, il famigerato contatore di preferenze “mi piace”, bensì un laconico messaggio che informerà, sic et simpliciter, solamente che il post ha trovato gradimento presso la comunità virtuale, senza specificare “chi” ha apprezzato e “quanto”.
Le prime reazioni a tale notizia, all’interno della comunità di Internet, sono piuttosto contrastanti. Da una parte c’è chi è convinto che una minore pressione sul “gradimento” elargito di volta in volta dagli utenti ai post possa alleggerire la pressione sugli autori, stimolandoli a pubblicare qualsiasi cosa, oggi magari tenuta in serbo per timore della reazione della comunità virtuale (espressa, appunto, tramite i like). Senza più una metrica di giudizio, in tal modo, potrebbero moltiplicarsi le notizie, i commenti o le informazioni, arricchendo l’intera piattaforma e ravvivando, così, il dialogo tra gli internauti, adesso in vertiginosa diminuzione.
Tali ottimistiche previsioni vengono bruscamente interrotte da chi pensa che, eliminando la possibilità di esprimere un apprezzamento empirico e misurabile, la piattaforma social perderebbe la propria raison d’être. Per i detrattori della sperimentazione, infatti, Facebook nasce e vive di like, e fonda gran parte della sua popolarità proprio sullo scambio di pollici all’insù. L’eliminazione della possibilità di esprimere un giudizio, secondo alcuni, potrebbe far perdere l’interesse verso la pubblicazione di contenuti, afflitti tutti come sono da narcisismo digitale.
Velatamente, da Menlo Park, filtra la ragione alla base di questo notevole cambio di paradigma: nelle persone maggiormente sensibili, la pubblicazione di un contenuto non gradito alla community o – addirittura – ignorato dagli altri utenti, potrebbe esporre l’utente a stati di ansia, frustrazione, arrivando nei casi più estremi all’insorgenza di stati depressivi (“nessuno dei miei amici virtuali mi prende in considerazione”, “per loro non esisto”).
Nessun dubbio che, se davvero basata su tali spinte filantropiche, la scelta di rimuovere il contatore di preferenze potrebbe giovare a rasserenare il clima virtuale che si respira nelle bacheche. Specie nel mondo dei teenager, la popolarità riscossa da immagini e contenuti caricati in rete rappresenta anche il “peso” sociale che una persona riveste nella sua cerchia di amici, complice anche il mito degli influencer che ormai domina nelle coscienze adolescenziali.
Le relazioni sociali degli adolescenti ruotano sempre più intorno al mondo dei social network, un rapporto in chiaroscuro messo in evidenza dall’attività di ricerca del MIUR in collaborazione con l’Università di Firenze e quella della Sapienza di Roma: Tra i personaggi a cui ispirarsi, i ragazzi ritengono che gli influencer rappresentino un esempio da emulare (23,5%) e un modello di riferimento per la futura carriera (12,9%).
La scomparsa dei like potrebbe preannunciare l’addio al mito degli “influenzatori”, cosa che potrebbe far riscoprire ai giovani il valore e l’altrettanto prestigio di un lavoro “tradizionale” come medico, avvocato o elettricista, attività forse più utili alla società odierna, troppo spostata verso una realtà puramente glitterata.