Sulle intercettazioni è aperto un dibattito che richiede pacatezza e riflessione anziché il solito tifo da curva tra fazioni opposte. Due recenti episodi di cronaca, occorsi a pochi chilometri di distanza tra loro, ci offrono lo spunto per alcune considerazioni importanti sulla appropriatezza dei metodi d’indagine utilizzati.
Del primo – la cattura del boss mafioso Matteo Messina Denaro (MMD) avvenuta a Palermo – scriverò poco perché assai conosciuto e ancora oggi trattato dai media. Del secondo – avvenuto a Corleone pochi giorni fa e avente come protagonista una maestra della scuola dell’infanzia – presenterò solo i fatti salienti. In tutti e due i casi – associazione mafiosa, omicidio etc. il primo e presunti maltrattamenti a danno degli alunni il secondo – è stato fatto dapprima ricorso alle intercettazioni e poi all’arresto in flagranza di reato. Non sappiamo come andrà a finire il processo a MMD (fruisce della presunzione d’innocenza come tutti fino alla sentenza definitiva), mentre sappiamo che la maestra è stata assolta in appello, dopo cinque anni di processo, “perché il fatto non sussiste”.
Possiamo tranquillamente affermare che l’uso delle intercettazioni può essere indispensabile, anche per periodi prolungati, per reati di mafia o di criminalità o di sangue e via discorrendo, mentre suscita forti perplessità per reati minori come quelli che avverrebbero a scuola che ricordiamo essere il posto più sicuro per un minore. Basti confrontare, a titolo d’esempio, la gravità e il numero dei reati di maltrattamenti che avvengono in famiglia rispetto a quelli che hanno luogo in ambito scolastico.
Se analizziamo da vicino il caso della maestra di Corleone, intercettata per oltre due mesi e arrestata in flagranza di reato, l’assoluzione in appello con formula piena appare un paradosso. Quanto accaduto a scuola, inoltre, poteva tranquillamente essere risolto dal dirigente scolastico attraverso i molteplici strumenti a sua disposizione (controllo della maestra, vigilanza, affiancamento, accertamento medico, ispezione, provvedimento disciplinare, sospensione cautelare). Assai utile richiamare le sagge parole di un giudice del Tribunale del Riesame di Quartu secondo il quale, in un caso analogo, “i fatti contestati non integrano la soglia del penalmente rilevante, ma esauriscono eventualmente la loro censurabilità in ambito disciplinare”.
Dal punto di vista economico, l’episodio della maestra di Corleone – così come molti casi simili – ha costituito un cospicuo esborso per l’erario di decine di migliaia di euro: inquirenti impiegati a visionare i filmati in tempo reale o in differita; trascrizione degli atti; affitto e installazione delle tecnologie per oltre due mesi; personale specializzato quale giudici, avvocati, tecnici; udienze per cinque anni etc. Possiamo dire che nello spazio di un lustro “il topolino ha partorito la montagna”.
Tuttavia l’esito era ampiamente prevedibile in quanto sono stati trascurati alcuni fattori macroscopici che dovrebbero scongiurare l’intervento di simili metodi di indagine nella scuola: 1) come già detto, la scuola è il posto più sicuro per un minore; 2) nelle centinaia di procedimenti penali oggi ancora pendenti per presunti maltrattamenti a scuola non sono contestate lesioni fisiche gravi ma “solo” scappellotti, strattonamenti, rimproveri stentorei, grida e via discorrendo; 3) tutto ha sempre inizio con la cortocircuitazione del dirigente scolastico da parte dei genitori che si rivolgono direttamente (e inopinatamente) all’Autorità Giudiziaria; 4) la totale assenza di casi simili all’estero dove il dirigente scolastico è il primo e unico referente per i genitori e non può essere cortocircuitato; 5) l’assoluta mancanza di know-how pedagogico-educativo degli inquirenti che sono dei non-addetti-ai-lavori del tutto ignari degli metodi correttivi, leciti e non, a disposizione di docenti, maestre ed educatori; 6) l’ignoranza circa le differenze educative che passano tra l’ambiente familiare e parafamiliare (vedi oltre).
Il ricorso alle intercettazioni è consentito dalla legge solo se il reato ipotizzato è “grave”, cioè se il massimo edittale della pena supera i cinque anni. Il PM che intende avvalersi delle intercettazioni a scuola ipotizza pertanto il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), mentre scarta (o affianca) quello di abuso dei mezzi di correzione(art. 571) che non gli consentirebbe, da solo, di avvalersi di audiovideoregistrazioni nascoste poiché prevede un massimo edittale della pena di soli sei mesi. Non è dunque un caso se le ipotesi di reato nella scuola divengono (strumentalmente?), art. 572 c.p. e non più art. 571 c.p. Si tratterà di una mera combinazione, ma le intercettazioni in ambito scolastico si sono moltiplicate a dismisura, fino a far registrare un incremento dei casi di ben 14 volte nell’arco di sei anni (2014-2019).
Possibile che si tratti di una (inverosimile e inspiegabile) escalation di violenza tra le maestre italiane, mentre nel resto dei Paesi occidentali non vi è neppure l’ombra di simili episodi? Fenomeno che – si badi bene – non risparmia neppure le suore accusate ingiustamente persino di ricorrere al turpiloquio o di bestemmiare (sono più di dieci oggi le consacrate sottoposte a processo per presunti maltrattamenti). Non sarà piuttosto che detta situazione è causata da metodi d’indagine che sono totalmente inadatti alla scuola? Le intercettazioni, infatti, si prestano a manipolazioni e fraintendimenti soprattutto nell’ambiente scolastico.
Abbiamo inventato per la scuola una modalità d’indagine con inquirenti non-addetti-ai-lavori; pesca a strascico ad libitum con intercettazioni da telecamere nascoste; violazione del diritto costituzionale alla riservatezza delle persone anche in antitesi con l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori; decontestualizzazione delle scene; visione frammentata e limitata di tutti i filmati (mediamente lo 0,1% della totalità del registrato); selezione avversa dei progressivi; drammatizzazione delle trascrizioni e libera interpretazione delle stesse; arbitrarietà nello stabilire l’abitualità degli episodi contestati e via discorrendo. In questo modo le intercettazioni consentono agli inquirenti di assemblare “pezzi di realtà”, a proprio uso e consumo e in ossequio alla tesi di colpevolezza da dimostrare.
Anziché ricostruire la verità, si finirà per “fare a pezzi la realtà”. E che questo risultato appaia più che probabile lo lascia presagire il fatto che i giudici non visionano mai per intero tutte le centinaia di ore di intercettazioni (sarebbe follia il solo pensarlo), ma si limiteranno a guardare pochi frammenti di filmato, appositamente selezionati dagli inquirenti, finendo col non possedere l’esatta idea di una realtà complessa quale quella scolastica che è squisitamente professionale perché pedagogico-educativa.
Il caso della maestra di Corleone – ma ve ne sono molti altri – ne è in buona parte la dimostrazione lampante: un arresto in flagranza per un “fatto che non sussiste” è di per sé un paradosso. Cosa hanno visto e interpretato gli inquirenti? Si è voluto sparare col cannone a una mosca, col solo risultato (per fortuna) di mancarla, e di sciupare preziose risorse generando dolore e sofferenza a un’innocente, nonché sottoponendolo all’inevitabile gogna del circo mediatico.
Vi è un’altra questione fondamentale del tutto sconosciuta agli inquirenti che restano dei profani rispetto all’ambiente educativo-scolastico: la differenza tra i ruoli della mamma e della maestra con le diverse competenze nell’ambiente familiare (domicilio) rispetto a quello scolastico parafamiliare: a) la mamma educa il figlio nella comunità familiareristretta, mentre la maestra introduce il bimbo alla socializzazione; b) la scuola è luogo pubblico, mentre la dimora è ambiente privato; c) la scuola offre una relazione professionale anziché una relazione affettiva genitoriale; d) la scuola ospita una comunità allargata con rapporto maestra/alunni fino a 1:29 mentre in famiglia il rapporto materno/filiale è 1:1; e) infine, a scuola, gli stili educativi sono numerosi quanto gli alunni e spesso addirittura multietnici, mentre in famiglia lo stile educativo è unico ed esclusivo.
Capitolo a parte è rappresentato dall’appropriatezza delle intercettazioni secondo il dettato della L.48/08 che recepisce la Convenzione di Budapest del 2001, ratificata dall’Italia e molti altri Paesi. Questa indica esplicitamente i requisiti necessari per poter utilizzare correttamente le intercettazioni nell’ambito di un procedimento penale. Tra i molti ne spiccano due che sono raramente rispettati dagli inquirenti:
- Le tracce audio e video devono essere sincronizzate e conservate su unica piattaforma;
- Le intercettazioni non devono recare alcun commento, né interpretazione, neanche nella trascrizione.
Se aggiungiamo che la risoluzione delle immagini lascia spesso a desiderare, comprendiamo quanto sia difficile l’uso equilibrato e oggettivo delle intercettazioni da parte di inquirenti abituati a manipolare ed estrapolare progressivi arbitrariamente e volti esclusivamente a suffragare le loro tesi. Dal canto loro i giudici non vedranno mai per intero le registrazioni di centinaia o migliaia di ore limitandosi a visionare solo i progressivi che gli inquirenti sottoporranno loro. Diceva il Cardinal Richelieu: “Datemi sei frasi scritte del più onesto tra gli uomini ed io vi troverò un motivo per impiccarlo”. Oggi questa “abilità”, grazie alle nuove tecnologie, diviene alla portata di tutti proprio con le intercettazioni a strascico con telecamere nascoste.
Potremmo fermarci qui nel novellare i troppi limiti di questi metodi d’indagine nella scuola, dannosi, e non solo inutili e costosi, ma non possiamo dimenticare di aggiungere la loro intempestività. Trascorrono infatti lunghi mesi tra una denuncia all’Autorità Giudiziaria e l’azione per bloccare una presunta maestra violenta. Al contrario è immediato, ponderato e professionalmente idoneo l’intervento di un dirigente scolastico adeguatamente allertato. Qualsiasi genitore di buon senso preferisce un provvedimento tempestivo del preside piuttosto che lasciare il proprio figlio esposto per lunghi mesi d’indagine a ipotetiche violenze e sopraffazioni, in attesa del farraginoso intervento della Autorità Giudiziaria (si noti, tra l’altro, che solo l’1% dei casi vede un arresto in flagranza di reato e, talvolta, inspiegabile come nel caso di Corleone). Sono proprio i tempi lunghi dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria a dimostrare che non esiste alcuna urgenza reale e che il dirigente scolastico potrebbe benissimo provvedere appropriatamente, tempestivamente e senza oneri per lo Stato avendone tutti i mezzi necessari.
Ben venga, dunque, l’idea dell’attuale guardasigilli Nordio che, supportato dal titolare dell’Istruzione e del Merito Valditara, pensa di limitare il ricorso alle intercettazioni: queste, fondamentali in determinati settori (mafia, criminalità, traffico di droga…), rischiano di essere controproducenti, nella scuola. In questo ambito, infatti, esistono e sono praticabili soluzioni più tempestive, nonché economiche, purché il dirigente scolastico non venga cortocircuitato, come avviene nei Paesi occidentali.