A cura di Niva Mirakyan*
Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani annuncia che l’Italia sarà in grado di smettere di importare gas dalla Russia in diciotto mesi e che due terzi delle forniture saranno sostituite in poche settimane. “Riteniamo che entro il secondo semestre dell’anno prossimo potremo cominciare veramente ad avere una quasi totale indipendenza dall’import di gas russo”, ha detto il titolare del MiTE.
L’Italia è davvero pronta a tagliare il cordone? Per parlarne LabParlamento ha raggiunto Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia.
Dott. Tabarelli, come valuta la missione del governo italiano tra Mozambico, Algeria, Qatar, Egitto e Azerbaijan, Angola e Congo, visto che ognuno di questi paesi è stato comunque impegnato in guerre recenti e potrebbe trovarsi invischiato in guerre future. Potrebbero essere considerati come i fornitori affidabili per l’Italia?
“Dopo la vicenda Ucraina non c’è nessuno di affidabile nel mondo di rifornimenti di energia, perciò tutti questi Paesi sono sempre a rischio. Però c’è anche da dire che la Russia tuttora non ha ancora smesso di fornire il gas né all’Ucraina, né all’Italia. Detto questo bisogna andare a cercare il gas dove c’è. Le azioni, i tentativi del governo aiuteranno ma il grande problema è che ci vorranno degli anni. Nel prossimo inverno senza il gas russo facciamo molta fatica, dobbiamo fare dei razionamenti, forse anche nel 2023”.
Quindi, Lei non condivide il parere del ministro Cingolani, secondo il quale la dipendenza dell’Italia dal gas russo finirà nei prossimi 24-36 mesi o addirittura nei 18 mesi?
“Secondo me, questi dati sono troppo ottimistici, trovare 29 miliardi di metri cubi in 18 mesi è un’impresa straordinaria. Ci vuole del tempo. Dall’altro canto, basta pagarlo e il gas si trova. Però non è così semplice perché in Europa il prezzo del gas è altissimo da sei mesi”.
Cosa pensa della proposta di Draghi sul limite al prezzo del gas?
“La trovo coraggiosa. Sarebbe importante che ci fosse un tetto a quel poco gas che produce l’Olanda e soprattutto nei confronti del gas che ci manda Equinor, la società di stato norvegese. È scandalosa la quantità dei soldi che ha fatto questa azienda ed è un atto gravissimo sotto il profilo politico. Ci troviamo in una situazione simile mentre dobbiamo chiedere alla Norvegia di accettare un tetto al prezzo del gas…”.
In questo momento l’Italia è a caccia di navi per la rigassificazione. E il gas americano, che costa fino al 40% in più, potrebbe sostituire quello russo che vale 13 miliardi di metri cubi? È vero che l’offerta USA resterà limitata fino al 2025?
“Il gas americano sta già arrivando, gli USA hanno esportato l’anno scorso 75 miliardi di metri cubi di gas liquefatto, escludendo quello che arriva attraverso il tubo verso Canada e Messico. Porteranno presto 100-125 miliardi di metri cubi ma anche qua servono almeno tre anni prima che la loro capacità aumenti. Poi arriverà qualcosa (3-4 miliardi di metri cubi) dal Qatar e dalle navi galleggianti che servono per fare la liquefazione di gas ma che si fa comunque fatica a trovare.
C’è un altro problema però. L’energia moderna che consumiamo viene dalle strutture fatte nei passati 50 anni e per fare quelle nuove per produrre l’energia rinnovabile e sviluppare i giacimenti del gas ci vogliono tanti anni. Possiamo provare di prendere questa direzione ma prima di essere indipendenti dalla Russia dobbiamo aspettare ancora a lungo. In realtà, l’Italia non sarà mai indipendente dalle importazioni dell’energia perché sostituire le importazioni con le rinnovabili non solo è un sogno lontanissimo ma anche impossibile”.
È vero che i terminali gnl italiani non avranno capacità sufficiente per lavorare i nuovi volumi in arrivo?
“Esatto, perché l’unico grande terminale che abbiamo è quello di Rovigo. La sua capacità è stata aumentata da otto a nove miliardi di metri cubi, fra cui sei miliardi di metri cubi sono impegnati con il contratto di lungo termine con Qatar. Quindi rimangono fuori solo tre miliardi di metri cubi. Poi dopo c’è il terminal di Livorno che ha una capacità di 3,5 miliardi ma non viene mai pienamente utilizzato perché si trova in mare aperto e anche lì ci sono dei volumi impegnati con i contratti di lungo termine. E infine c’è quello piccolino gnl a Panigaglia dove però non possono arrivare le grandi navi moderne”.
Berlino e Vienna, Budapest dicono no all’embargo su gas. L’Italia invece si allineerà alla posizione dell’Europa. Secondo la Banca d’Italia, l’improvvisa chiusura dei gasdotti porterà l’inflazione all’8%. A Suo avviso, cosa rischia l’Italia e in particolare l’industria italiana in caso di un embargo totale di gas dalla Russia?
“In caso del taglio delle forniture russe, noi stimiamo che ci sarà una recessione del 2%. Quello che è certo è che ci sarà una forte frenata dell’economia ma non prevedo un cataclisma perché dopo la pandemia abbiamo già avuto una recessione del 9%. Però quello che non si può negare è che saremmo costretti a interrompere alcune attività industriali sia perché non avranno gas, sia perché l’elettricità che usano è prodotta dal gas”.
Quindi in questo momento il razionamento diventa inevitabile? Cosa pensa del piano del governo per tagliare i consumi di elettricità e risparmiare 4 miliardi di metri cubi nel 2022?
“Se si deciderà di introdurre l’embargo questo inverno, il razionamento è assolutamente inevitabile. Non credo però che si potrà arrivare a quattro miliardi di metri cubi perché la PA non consuma tutta questa energia. A mio avviso, arrivare ad un miliardo di metri cubi sarebbe già un clamoroso successo. Oltre il razionamento dobbiamo fare tutte le cose, soprattutto andare al carbone (la cosa più veloce e grossa), ridurre i consumi, puntare sulle rinnovabili, cercare il gas in tutto il mondo. Però, tranne il carbone, un po’ di risparmio e un po’ di rinnovabili, altri obiettivi sono difficilmente raggiungibili”.