Dal celebre caso di Enzo Tortora alla recente vicenda dell’ex Sindaco di Lodi, Uggetti: la storia del nostro Paese è costellata di episodi emblematici che vedono donne e uomini condannati dai media, dalla politica e dall’opinione pubblica, prima ancora che in un’aula di Tribunale.
L’On. Catello Vitiello, parlamentare di Italia Viva e membro della Commissione Affari Costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni, si è interrogato sulla questione e ha avanzato una proposta di legge – la 3090 – che interviene sul delicato rapporto fra giustizia e media.
Onorevole Come nasce l’esigenza di questa Proposta di Legge?
“L’idea di questa Pdl è da quasi due anni è nella mia testa. Ero ancora nel Gruppo Misto della Camera. Facendo l’avvocato penalista conosco molto bene le disfunzioni del processo penale. E una di queste, la più importante, è forse quella del processo mediatico, ovvero il fatto che si discuta di responsabilità sulla carta stampata o addirittura nei talk show in tv, prima ancora che nel processo vero e proprio, come se ci fosse un doppio binario. L’ho sempre sofferta come situazione, proprio dal punto di vista professionale: ecco perché ho deciso di presentare la proposta”.
Una proposta che si fonda sul principio della presunzione d’innocenza è così?
“Nel 2016 una direttiva europea ci dice che la presunzione di innocenza è una presunzione che deve essere mantenuta anche rispetto alla comunicazione che esce fuori dalle procure, quindi i giornali e i media. Cioè è una presunzione che non riguarda solo il processo, ma anche i media, appunto. Con la proposta di legge 3090 abbiamo dato titolo effettivo a questa direttiva europea e l’abbiamo resa applicativa all’interno del nostro ordinamento. Ho raccolto la sottoscrizione di una trentina di colleghi, almeno di un parlamentare per ogni gruppo politico: è una legge trasversale, a conferma che non si tratta di una questione politica, ma di civiltà giuridica. E sicuramente questa caratteristica agevolerà la calendarizzazione della Pdl da parte della Presidente della Commissione Giustizia”.
Pochi giorni dopo aver presentato la proposta di legge, è avvenuta l’assoluzione – dopo 5 anni – dell’ex sindaco di Lodi, Simone Ugetti.
“È emblematica come situazione, perché descrive benissimo, all’atto pratico, il senso della proposta di legge. La vicenda di Uggetti ha fatto clamore in maniera eccessiva nel 2016. Una volta che i media se ne sono occupati Uggetti era diventato automaticamente colpevole. Per l’opinione pubblica e anche per la politica. C’è stata una sentenza di primo grado che l’ha visto colpevole, però poi la Corte di appello di Milano è intervenuta con una assoluzione piena, perché il fatto non sussiste. Dopo cinque anni, dopo che questo uomo ha subito la gogna mediatica, pubblica e politica. Ecco perché è doveroso ridare centralità al dibattimento anche dal punto di vista mediatico”.
Quindi secondo lei i media sono d’intralcio alla giustizia?
“Al contrario: io voglio i media a controllo e a presidio del potere giudiziario, è ciò fa diventare sacrosanto il diritto di cronaca giudiziaria, altrimenti il potere giudiziario non avrebbe alcuna regola e alcun controllo. Solo che il controllo deve intervenire quando c’è una maggiore certezza di quello che si sta discutendo e il dibattimento offre questa certezza. In ogni tipo di indagine c’è un momento di dubbio molto forte, quella che viene chiamata “imputazione”, tecnicamente si chiama “ipotesi accusatoria”. E’, appunto, una ipotesi che poi dovrà essere suffragata in dibattimento; se poi il pubblico ministero avrà ragione, ci sarà la condanna, ma se avrà torto ci sarà l’assoluzione. Invece accade che le misure cautelari, le indagini, le intercettazioni sono il pane quotidiano dei cronisti di giudiziaria oggi e non è giusto. Dobbiamo smetterla di fare i processi prima in televisione e sui giornali e poi in Tribunale. Se noi riusciamo a ridare centralità al dibattimento significa agevolare anche il lavoro degli investigatori che non avranno più il problema del rapporto con i media e potranno andare avanti nelle indagini senza scompensi mediatici”.
Secondo lei, quindi, quali sono i passi da fare per una riforma della Giustizia?
“Quando si entra nel processo penale, bisogna lasciare a casa le bandiere politiche: il pan-penalismo non va bene, ogni sanzione la si vuole etichettare come diritto penale e ciò è sbagliato. I politici usano il garantismo e il giustizialismo come bandiera, ma il processo penale riguarda i cittadini, la libertà dell’individuo e non ha colori politici. Ciò che dobbiamo fare è elevare l’attenzione e la professionalità degli addetti ai lavori, bisogna concentrarsi su quello che è l’unico faro che abbiamo: la carta costituzionale. Dobbiamo gestire la riforma del processo penale guardando a quello e guardando alla disfunzione degli ultimi 40 anni. Inoltre, prima di qualsiasi riforma ci vogliono soldi: bisogna che le istituzioni entrino nell’ottica che ci vuole un investimento serio nella magistratura, nell’efficienza dei tribunali per garantire i numeri: più cancellieri, più magistrati, più addetti ai lavori.
E non mi venissero a dire che si risolve tutto con la magistratura onoraria: prima del diritto processuale e sostanziale, c’è un altro diritto, che io chiamerei “tabellare”: ci sono le tabelle, i ruoli dei giudici; si tratta di tutto ciò che riguarda la parte organizzativa”.