Le conseguenze dirette sul calcio italiano
Dopo l’eliminazione della nazionale italiana dai mondiali in Qatar è necessario fare un punto della situazione sul panorama calcistico e sportivo italiano. Per la FIGC è stato il presidente Gravina a prendere la parola subito dopo la disfatta di Palermo: “c’è qualcosa da riformare nel nostro calcio, non mi riferisco soltanto a ciò che riguarda la forma o il format o gli indici, quello è parte del nostro calcio. Sicuramente la federazione può fare tanto rispetto alla nazionale, cominciamo a capire che tanti giovani non vengono utilizzati nei nostri campionati, solo il 30% degli italiani gioca in campionati primavera. Questo è un problema nostro, della dirigenza calcistica”.
La crisi del calcio
L’eliminazione degli azzurri non sarebbe quindi solo una partita andata male o una serie negativa difficile da recuperare, ma una criticità strutturale nell’impianto sportivo italiano. Una situazione a cui, purtroppo, siamo tristemente abituati nel Belpaese, costellato di talenti che non trovano un’organizzazione e una struttura in grado di farli esprimere al meglio. Dalla “fuga dei cervelli” alla crisi del calcio, l’Italia subisce gli effetti di una classe dirigente troppo spesso incapace di difendere gli interessi comuni e di programmare un obbiettivo a lungo termine.
Ricadute sociali
In un paese dove il calcio è religione disfatte come queste pesano anche da un punto di vista socioculturale. Proprio su questo aspetto le parole di Fabio Caressa «rimane il dispiacere, per quello che è successo perché non permetterà ad una generazione, forse due, di godersi l’Italia ai mondiali da bambini, quando i sentimenti sono bellissimi». Conclude poi, « Sono affranto, perché come quando abbiamo vinto il mondiale, abbiamo vinto tutti, stasera abbiamo perso tutti. Detto questo ci sono cose più importanti, che stiamo vivendo. È solo pallone, è solo calcio». In questo caso però potrebbe non essere più “solo calcio”, come mero intrattenimento, ma avere ricadute anche dal punto di vista economico sul paese.
Rai: scommessa perdente
Come è noto il servizio pubblico Rai avrebbe acquistato i diritti televisivi per i mondiali in Qatar aggiudicandosi il premio con un’offerta che oscilla tra i 110 e i 170 milioni di euro. La sconfitta potrebbe portare anche al rischio di perdere il 25% degli introiti pubblicitari. Un duro colpo per l’emittente che corre ai ripari cercando di vendere i diritti a società terze (e.g. Amazon, Sky, Mediaset). Quest’ultima, un’opzione da evitare secondo Michele Anzaldi (Deputato Italia Viva), che ha avanzato al Governo Draghi la proposta di rialzare momentaneamente il tetto pubblicitario della Rai. In questo modo l’urto sarebbe assorbito «senza dover ricorrere al subappalto che, invece, andrebbe a pesare sulle tasche dei cittadini». Forse il tentativo è quello di sfruttare la crisi per portare la rai ad un servizio streaming di livello superiore.
I numeri dello sport in Italia
Il “caso Rai” potrebbe essere però solo una delle tante punte di un iceberg ben più grande e che comprende l’intero settore sportivo italiano, dove il calcio è sicuramente il più grande player in termini di ascolti e di business, basti pensare che proprio il calcio è lo sport più praticato in Italia e anche quello che beneficia del maggiore ammontare di contributi pubblici. Nonostante le vittorie nell’atletica che riescono a coinvolgere il pubblico, grazie alle incredibili prestazioni di Jacobs, Tamberi e tanti altri, è importante lavorare maggiormente sul settore sportivo che secondo Forbes nel 2019 ha generato 95.9 miliardi di euro (quasi 20 miliardi di euro in più rispetto al 2021), con un’incidenza sul Pil italiano del 3,6%, e sul mondo del lavoro di 389mila risorse.
Questa sconfitta potrebbe essere l’ennesimo campanello d’allarme inascoltato oppure un punto da cui ripartire per la creazione di un progetto che valorizzi lo sport, e in questo caso il calcio, al fine di promuovere i talenti italiani e automaticamente tutto l’impianto economico che gira attorno.