Dietro una “semplice” (lo si scrive ma non lo si pensa) partita di calcio si cela l’attitudine di due Paesi di fronte alle grandi sfide, siano queste sportive, politiche ma anche economiche. Così la “partita del secolo” tra Italia e Germania di Messico ’70 diventa una perfetta allegoria dell’atteggiamento dei due Paesi di fronte alla difficile congiuntura economica attuale
Non serve essere grandi calciofili per avere anche solo qualche flebile attivazione mentale nel sentire le parole “partita del secolo”. E ancor più vita potrebbe scorrere tra le sinapsi se la stessa definizione venisse declinata in spagnolo, “partido del siglo”, così da poter un minimo contestualizzare.
Ma per amor di chiarezza o per illustrare l’avvenimento a forme di vita extraterrestri, la “partita del secolo” è stata la semifinale della Coppa del Mondo di calcio di Messico 1970 (l’ultima ad assegnare il trofeo Rimet) tra Italia e Germania, vinta dalla nostra formazione dopo 120 minuti di agonia giocati ad oltre 2mila metri nella cornice dello Stadio Azteca di Città del Messico.
Per le cronache del match – placido e bruttino dopo un gol di Boninsegna nei primi minuti, ma destinato a diventare epico nei tempi supplementari – c’è la rete, YouTube e, per i palati più fini, gli scritti prelibati di Gianni Brera.
Ma per la retorica si può leggere dietro una “semplice” (lo si scrive ma non lo si pensa, è il caso di ribadire) partita di calcio l’attitudine di due Paesi di fronte alle grandi sfide, a prescindere che queste siano sportive, politiche o anche economiche.
Alla semifinale di quei mondiali l’Italia arrivò impigrita, svogliata, favorita da un girone eliminatorio più che abbordabile, passato però per il rotto della cuffia, dimostrando un guizzo solo in occasione del quarto di finale con il Messico (partita da dentro o fuori). Insomma, il classico studente che non si applica e forse non ha neanche le doti ma la fortuna lo tiene sulla media del 6.
Al contrario la Germania, diligente e ordinata, come sempre tra le favorite già alla vigilia del Mondiale, vinse tutte le partite del girone e nei quarti riuscì a battere in rimonta l’Inghilterra detentrice del titolo. Come a dire, studio, impegno e abnegazione portano sempre a risultati positivi.
Il tutto si presta a una allegoria che raffigura perfettamente l’atteggiamento di cui sopra ed è capace di validare tutti i tristi ma veritieri luoghi comuni.
E quindi si può arrivare all’economia.
L’Italia oscilla tra la stagnazione e la recessione tecnica da cinque trimestri; la produzione è ferma, il PIL non antepone una cifra che non sia zero davanti alla virgola da tempo immemore e i governi degli ultimi anni hanno risposto con misure – quasi mai buone, in alcuni casi discrete negli intenti – ma insufficienti se non pessime nella riuscita. Nessuna misura strutturale efficace, provvedimenti palliativi e di corto respiro guidati dal solo impulso della suprema arte di arrangiarsi tirando a campare. Male che vada è sempre colpa di qualcun altro, di base chi ha governato prima. Esattamente come l’Italia del calcio.
La Germania odora aria stantia da inizio anno, con le prime revisioni di crescita del PIL nel biennio 2019/20 già ritoccate verso il basso da mesi. La battuta d’arresto della manifattura, in rallentamento dal terzo trimestre 2018, il crollo del comparto automotive, iniziato con il dieselgate e sancito da un secco -14% nel primo semestre 2019 contro lo stesso periodo dell’anno precedente, sono tra le cause principali. Inoltre, la vocazione esportatrice del Paese ha subito ancor di più le tensioni tra Usa e Cina e il caos Brexit mettendo in difficoltà anche le solide aziende tedesche.
Le risposte a questo preoccupante scenario son già arrivate, perfettamente studiate, pronte ad essere applicate.
E, è il caso di aprire una parentesi, queste risposte non hanno colore politico; le soluzioni sono state individuate dal CDU della Cancelliera Merkel come nei primi anni 2000 dal SPD di Schroder.
Ad ogni modo il piano tedesco prevede di aumentare gli investimenti pubblici, grossomodo invariati dal 2008, dello 0,5% per circa 16miliardi di euro annui nel prossimo quadriennio, attingendo, se necessario, ai risparmi garantiti da un rapporto debito/PIL inferiore al 60%. Una soluzione che permetterebbe di aumentare il Prodotto Interno Lordo nel breve periodo per via dei maggiori consumi pubblici, al quale seguirebbe un nuovo aumento della produttività, grazie a una ritrovata fiducia delle aziende private e dei consumatori, nel medio periodo.
Un piano extra, di circa 50miliardi di euro, molto simile a quello adottato dieci anni fa dopo la Grande Recessione del 2008. Un piano chiaro, lineare, collaudato. Senza troppa fantasia forse, ma non è quella la prima dote in campo economico, dotato invece di grande visione e buona lungimiranza.
Esattamente come la Germania del calcio.
Ma se sui campi da gioco tifare la Mannschaft è pressoché impossibile per ogni italiano, in questa partita occorre invece sgolarsi e sperticarsi le mani: la Germania è il primo partner commerciale per l’Italia, con un interscambio che nel 2018 ha raggiunto il suo massimo storico, circa 130 miliardi di euro e il rapporto che lega le due economie è qualcosa in più che indissolubile. Inutile quindi sottolineare come una scivolata tedesca equivarrebbe a una rovinosa caduta italiana.
Un antico detto diceva che i tedeschi amano gli italiani ma non li stimano; viceversa gli italiani stimano i tedeschi ma non li amano. Forse questo è il solo cliché da smettere di adottare una volta per tutte.