Nella serata di lunedì 4 maggio 2015, dopo circa 10 anni dall’approvazione del cosiddetto Porcellum, la Camera dei Deputati ha dato l’OK definitivo alla nuova legge elettorale. Questa legge potrà essere utilizzata per eleggere i 630 membri della Camera a partire dal 1° luglio 2016, come recita una discussa clausola presente nell’articolato.
L’Italicum (come è stata battezzata dal premier Renzi al momento della sua presentazione) ha alcuni punti deboli e alcuni difetti abbastanza evidenti, ma si deve aver ben chiaro un concetto: non esiste una legge elettorale perfetta. Esiste invece una legge elettorale che si adatta meglio o peggio di altre al sistema partitico o alla storia elettorale di un Paese. E saranno l’esperienza e la storia a dire se l’obiettivo che pervade la costruzione dell’Italicum (garantire la governabilità, eliminare le coalizioni, ridurre la frammentazione partitica con l’idea prospettica di un sistema bipartitico) sarà stato centrato o se anche questa legge elettorale produrrà effetti indesiderati e nocivi per la democrazia italiana.
Ragionando invece sul contesto nel quale questa legge ha visto la luce, si deve partire da un assunto incontrovertibile: dopo anni di tentativi più o meno convinti, più o meno seri, il Parlamento torna a dimostrare di avere la capacità di legiferare in un ambito particolarmente importante e delicato come è quello delle “regole del gioco” democratico. Tuttavia, rimane da constatare come il raggiungimento di questo traguardo sia stato favorito dal risoluto input governativo. È stato infatti il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel febbraio 2014, a porre il target della nuova legge elettorale alla base della missione del suo Esecutivo. Va quindi dato a Cesare ciò che è di Cesare: l’innegabile merito di essere riuscito lì dove avevano fallito prima Prodi, poi Berlusconi, Monti e infine Letta. Con Renzi a Palazzo Chigi, dopo poco più di un anno la meta viene raggiunta, tuttavia non senza fatica e non senza sacrificio.
Il sacrificio a cui si fa riferimento è quello dell’unità del Partito Democratico. L’unità che era stata ritrovata, rivendicata ed esaltata all’indomani dell’elezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è tra le “vittime” del tragitto che ha condotto all’approvazione dell’Italicum. La scelta periodizzante di chiedere la fiducia alla Camera sulla materia elettorale non è un dettaglio trascurabile, dato che è solo la terza volta che avviene nella storia dello Stato italiano e che l’ultima volta risale al 1953, quando a Palazzo Chigi sedeva Alcide De Gasperi e le condizioni politiche nelle quali veniva chiesta la fiducia erano completamente diverse. Nel 1953, infatti, la decisione di porre la questione di fiducia sulla legge elettorale arrivò a poche settimane dalla scadenza naturale della legislatura e quindi dalle elezioni. Nel 2015, le considerazioni che hanno spinto Renzi a “forzare la mano” al Parlamento con la fiducia sono di ordine squisitamente strategico, dato che la chiusura naturale della legislatura è prevista nel 2018 e che l’Italicum entrerà in vigore solo a luglio 2016. Una scelta propriamente politica quindi, dovuta all’esigenza di dimostrare che la promessa fatta al momento dell’avvicendamento con Enrico Letta alla guida dell’Esecutivo è stata mantenuta, senza troppo preoccuparsi se il percorso stabilito avrebbe provocato “vittime” accidentali. In questa occasione, come detto, il danno collaterale è rappresentato dalla rottura dell’unità del PD.
Il partito di maggioranza relativa – che tra l’altro esprime il premier – è attraversato da sempre più profonde spaccature che lasciano presumere che il cammino comune intrapreso nel 2007 possa essere giunto al termine, almeno per alcuni dei suoi principali esponenti. Al momento, il PD resta formalmente compatto (non ci sono stati ancora abbandoni eccellenti, anzi, molti deputati e senatori di SEL e di altri gruppi hanno ultimamente irrobustito il gruppo parlamentare dem) ma è (ancora) sostanzialmente un insieme di tante – e tra loro diverse – anime. In ogni caso, il PD come lo abbiamo conosciuto (almeno fino al dicembre 2013, quando Renzi ha vinto le primarie interne per la carica di segretario nazionale) sembra destinato a essere definitivamente superato e a lasciare il posto a un altro tipo di partito, con una leadership molto forte e accentrante: un tipo di partito che, ormai presente in tutte le democrazie occidentali, negli ultimi 20 anni in Italia è stato prerogativa del centrodestra (Forza Italia di Silvio Berlusconi, con la differenza che questo è stato ed è un partito personale) e il cui recente decadimento (a causa dello strettissimo legame con le alterne fortune del leader) dovrebbe suggerire una seria e accurata riflessione.