«Sulla legge elettorale ci giochiamo la nostra dignità e la fiducia dei cittadini, […] bloccare la legge elettorale in questo momento sarebbe un colpo alla nostra credibilità», così il Presidente del Consiglio Matteo Renzi nel suo lungo intervento durante la direzione nazionale PD di lunedì 30 marzo 2015.
Nella pausa di riflessione parlamentare sulla riforma costituzionale (che, Costituzione alla mano, dovrà durare almeno tre mesi), torna prepotentemente al centro della scena politica italiana il dibattito sulla legge elettorale valevole per l’elezione dei membri della Camera dei Deputati.
Il premier ha chiuso all’ipotesi (avanzata dalla minoranza PD) di ogni eventuale ulteriore ritocco dell’Italicum. Nella sua relazione ha invitato il partito a considerare il voto in direzione nazionale come l’ultimo atto della lunga discussione sulla legge elettorale e, soprattutto, a interpretarlo come una sorta di voto di fiducia sul Governo. Dopo un acceso dibattito durato circa tre ore, la direzione nazionale del Partito Democratico ha approvato la mozione Renzi all’unanimità. Voto unanime ottenuto solo perché gli oppositori interni (tra i quali Bersani, Cuperlo e Civati) non hanno partecipato al voto. La minoranza dem si era illusa di riuscire a indurre Renzi a più miti consigli sull’Italicum in vista dell’introduzione di un numero più alto di preferenze, ma era chiaro a tutti che il segretario del PD non avrebbe potuto accogliere con favore una simile richiesta.
Infatti, oltre ai dubbi già espressi in passato sul merito delle preferenze, secondo Renzi sarebbe troppo rischioso “aprire” il provvedimento a correzioni – anche puntuali – durante il percorso alla Camera per almeno tre ordini di motivi: 1) sarebbe l’ennesimo caso in cui il Parlamento, arrivato vicino al traguardo di varare la legge elettorale, decide di fermare l’esame in vista di una nuova riflessione; 2) cambiare il disegno di legge lo costringerebbe a riattivare il confronto con gli alleati di Governo (NCD e UdC su tutti) in vista di un nuova sintesi; 3) modificare qualcosa a Montecitorio significherebbe dover poi tornare al Senato per il voto definitivo e a Palazzo Madama i numeri della maggioranza non sono “sicuri”, contrariamente a quanto accade alla Camera dove il PD è praticamente autosufficiente.
Il traguardo posto da Renzi al suo Governo a al suo partito è quello di avere una nuova legge elettorale entro la fine del mese di maggio 2015. Renzi considera da sempre il varo della legge elettorale come un fattore legittimante il suo Governo. Ed è evidente che raggiungere questo obiettivo nei tempi prospettati sia anche una mossa elettorale in vista delle regionali e delle amministrative in programma proprio a fine maggio. Tuttavia, il rischio per il PD è che la frattura interna tra la maggioranza renziana e la variegata minoranza diventi insanabile. Una rottura definitiva e formale nelle fila del partito principale azionista del Governo farebbe scorgere scenari negativi sul futuro delle riforme (anche quelle costituzionali), sulla tenuta stessa dell’Esecutivo e sul prosieguo della legislatura. Il rischio per l’Italia è dover rimandare, ancora una volta, l’appuntamento con l’approvazione di una legge elettorale che sostituisca quello che la sentenza della Corte Costituzionale ha lasciato in vita del Porcellum (la cui adozione, ricordiamo, risale al lontano 2005). Se così fosse, il risultato immediato sarebbe l’ennesimo duro colpo inferto alla credibilità della classe politica. E non se ne sente proprio il bisogno.