Dopo la movimentata assemblea dei deputati del Partito Democratico dello scorso 15 aprile sull’Italicum (durante la quale Roberto Speranza ha annunciato le sue dimissioni da Capogruppo alla Camera), si è aperto uno scenario di sostanziale tensione sia nel PD che nel Governo, dal momento che Matteo Renzi ha reso più volte chiaro che il futuro del suo Esecutivo è legato all’approvazione del DdL di riforma del sistema elettorale, in assenza della quale sarebbe disposto a salire al Quirinale per aprire una formale crisi di Governo.
A distanza di quasi una settimana dallo strappo verificatosi tra circa un terzo (120 su 310) degli onorevoli del partito di maggioranza relativa e il “loro” segretario-premier, sembra essere improbabile l’ipotesi di un riavvicinamento fra le parti in causa. Da un lato, difatti, il Presidente del Consiglio appare sempre più convinto nella sua intenzione di non cedere alle richieste di modifica del disegno di legge (sui cui contenuti ritiene si sia discusso abbastanza, sia all’interno che all’esterno del Parlamento) avanzate dalle minoranze del PD, ai suoi occhi confusionarie e animate per lo più dal desiderio di frenare la sua azione riformatrice; dall’altro, gli oppositori interni del Capo del Governo annunciano con crescente insistenza la loro indisponibilità a dare il via libera definitivo all’Italicum, a meno che il testo non venga rivisto almeno nelle parti in cui prevede capilista bloccati nei collegi e premio di maggioranza per la lista più votata dagli elettori.
La minoranza, tuttavia, pare dividersi tra quanti non intendono rinunciare all’eventualità di un accordo in extremis con Renzi (è il caso della corrente “Area Riformista”, della quale fanno parte esponenti come lo stesso Speranza, Guglielmo Epifani e Alfredo D’Attorre), tra chi sottolinea (come Gianni Cuperlo e Rosy Bindi) la poca sensibilità politica del Presidente del Consiglio nel momento in cui esercita il suo ruolo di leader e coloro che, come Giuseppe Civati e altri “battitori liberi”, sono sempre più a disagio all’interno del “Partito della Nazione” renziano e non escludono la possibilità di abbandonare il PD. Una menzione a parte merita l’ex leader dem Pier Luigi Bersani, il quale nelle ultime settimane ha contestato in maniera esplicita il progetto di riforma della legge elettorale, che a suo parere – con la successiva entrata in vigore del DdL Boschi di revisione della Costituzione – cambierebbe in senso plebiscitario l’assetto istituzionale italiano, annunciando l’intenzione di condurre una battaglia sul testo nel momento in cui questo arriverà all’attenzione dell’Aula di Montecitorio.
Le dinamiche interne al Partito Democratico potrebbero però essere scavalcate dal “verso” che il Governo e i settori della maggioranza più vicini a Matteo Renzi imprimeranno all’iter del DdL alla Camera. L’avvenuta sostituzione di dieci componenti dem della Commissione Affari costituzionali non allineati con le posizioni del premier e la promessa/minaccia di porre la questione di fiducia sull’Italicum qualora i tempi dell’esame in Aula dovessero allungarsi eccessivamente potrebbero infatti portare a una rottura quasi irrimediabile, in grado di mettere a rischio (per la prima volta dall’entrata in carica dell’attuale Esecutivo) il prosieguo della Legislatura. Dunque, la posta in gioco nei prossimi giorni (l’approdo in Aula del disegno di legge è previsto per il 27 aprile 2015) e nelle prossime settimane non sarà altro che il futuro del modello di “democrazia decidente”, sostenuto da Renzi e visto con sospetto dai suoi oppositori dentro e fuori il PD. Dalla fine di aprile all’avvio del terzo passaggio parlamentare della riforma costituzionale (previsto per il giugno prossimo in Senato), senza dimenticare le elezioni Regionali del 31 maggio, si capirà definitivamente se la data di scadenza del Governo Renzi potrà effettivamente coincidere con la scadenza naturale della Legislatura, cioè il 2018.
Ciò che sembra certo è che se il nuovo “all in” di Matteo Renzi dovesse fallire, con eventuali conseguenti elezioni anticipate, lo scenario politico che si verrebbe a delineare nel breve periodo (si pensi che la legge elettorale ora vigente è il Consultellum) sarebbe probabilmente connotato da una maggiore frammentazione partitica e da una sostanziale paralisi decisionale, a ulteriore danno dell’immagine e delle necessità dell’Italia.