Tra tante promesse, nessuno parla del grande tema di come fare fronte al prossimo aumento dell’imposta. Inevitabilmente sul tavolo del nuovo Governo
La campagna elettorale non è ancora entrata nel vivo ed è già aperta la gara tra tutte le forze politiche a promettere la maggiore riduzione di tasse e contributi.
Si va dall’abolizione del Canone RAI (introito in meno, per le casse dello Stato, stimato in 1,8 miliardi di euro), all’introduzione di una flat tax (un’aliquota unica sui redditi Irpef, entrate in meno per l’erario valutate intorno ai 30 miliardi), sino al provvedimento monstre, l’abolizione della legge Fornero, il cui ammanco, per le finanze pubbliche, è misurato intorno agli 80 miliardi. A tutte queste proposte si aggiungono, in un andirivieni di annunci, gli sgravi alle famiglie(una detrazione di 240 euro a figlio) sino all’intramontabile abolizione delle tasse su successioni e donazioni, asili nido e tasse universitarie gratis.
Peccato che nel dibattito della campagna elettorale nessuna formazione politica abbia ancora annunciato come affrontare la spada di Damocle che grava sulla testa di ogni nuovo Governo, ovvero l’aumento automatico dell’IVA e delle accise che, senza un intervento in tal senso, scatteranno dal 1° gennaio 2019.
Il prossimo Capodanno sarà amaro, dunque, per l’esecutivo che uscirà vincente l’indomani del 4 marzo prossimo. Quello delle “clausole di salvaguardia” è, in effetti, un rebus che, dal 2011, si trascina inesorabilmente nelle politiche di Palazzo Chigi, togliendo risorse allo sviluppo e alla crescita economica del Paese.
Per assicurare la tenuta dei conti pubblici dinanzi la Commissione europea, infatti, ogni esecutivo negli ultimi anni ha previsto una sorta di “garanzia” qualora le entrate o i tagli previsti in ogni manovra di bilancio non avessero prodotti gli effetti sperati, una fideiussione che potrebbe tradursi in un silenzioso aumento dell’imposta sul valore aggiunto e delle accise, già oggi elevate su carburanti e monopoli.
Il triste cronoprogramma, cui tutti in questi giorni sembrano non preoccuparsi, è già delineato: senza correzioni o individuazione di risorse aggiuntive di qualunque tipo, l’Iva ridotta sui beni primari (attualmente al 10%) passerebbe al 11,5% nel 2019 e al 13% nel 2020. L’aliquota ordinaria, invece, passerebbe dall’attuale 22% al 24,2% nel 2019, sino a toccare il 25% nel 2021. Le tasse aggiuntive, invece, su benzina e sigarette, già dal prossimo anno, potrebbero ammontare a 350 milioni. Una tagliola da più di 30 miliardi di euro, capace di ipotecare il futuro del Paese.
Quello delle clausole di salvaguardia è un’idrovora che solo nell’ultima manovra di bilancio è costata 19 miliardi: a tanto ammonta, infatti, il peso della sterilizzazione degli aumenti previsti che il Governo Gentiloni ha scongiurato, buttando così al vento la maggiore flessibilità ottenuta da Bruxelles dopo non poche trattative.
Come sfuggire, dunque, al destino degli imminenti aumenti? Le ricette che la teoria economica offre non sono per niente rivoluzionarie, e la scelta è presto detta: o si aumentano le entrate o si stabiliscono nuovi tagli, per un valore pari al peso della clausola.
Torna facile capire perché, stando così le cose, tale argomento sia del tutto assente dalla campagna elettorale, dove più che parlare di aumenti di tasse, è sicuramente meglio strombazzare benefici di dubbia realizzazione.