Il diritto alla privacy, come tristemente noto, è di questi tempi più minacciato che mai, specialmente dall’uso (anzi, l’abuso) delle tecnologie digitali in rete. Tuttavia, un rapporto delle Nazioni Unite ne denuncia la pericolosità senza mezzi termini, paragonando addirittura le più recenti innovazioni tecnologiche alla stregua di formidabili strumenti di sorveglianza, controllo e oppressione.
Infatti, il documento delle Nazioni Unite descrive in dettaglio come gli strumenti di sorveglianza, per esempio il software “Pegasus” possano trasformare gli smartphone in pericolosi dispositivi di sorveglianza attivi 24 ore su 24. Tali strumenti consentirebbero, pertanto, non solo di accedere a tutti i dati presenti sugli smartphone, ma anche di usare i cellulari come apparecchi per spiare le vite delle malcapitate vittime.
Proprio a proposito del celebre software “Pegasus”, il rapporto rimarca che: “Anche se presumibilmente utilizzato per combattere il terrorismo e la criminalità, questo spyware è stato spesso usato per ragioni illegittime, ad esempio per monitorare le opinioni critiche o dissenzienti e coloro che le esprimono, inclusi giornalisti, personaggi pubblici, politici dell’opposizione e difensori dei diritti umani”.
L’Onu ha poi lanciato l’allarme sulla crescente sorveglianza degli spazi pubblici. In tale ambito, i vecchi limiti pratici dovuti agli strumenti analogici sono stati difatti spazzati via, venendo sostituiti dalla raccolta e dall’analisi automatizzata di dati su larga scala; nonché dai nuovi sistemi di identità digitalizzati e dai database biometrici che facilitano ulteriormente queste misure di sorveglianza.
Come se non bastasse, le nuove tecnologie hanno anche consentito il monitoraggio sistematico di ciò che le persone dicono online, attraverso la raccolta e l’analisi dei post sui social media.
Alla luce di tutto ciò, non stupisce dunque che, commentando il suddetto rapporto, l’Alto Commissario ad interim per i diritti umani, Nada Al-Nashif, abbia evidenziato l’urgenza assoluta di agire il prima possibile per arginare il fenomeno. “Le tecnologie digitali apportano enormi vantaggi alle società. Ma la sorveglianza pervasiva ha un costo elevato, poiché mina i diritti e ostacola lo sviluppo di democrazie vivaci e pluralistiche”, così Nada Al-Nashif ha concluso il suo intervento.
In queste condizioni, sarebbe opportuno che Stati limitassero le misure di sorveglianza pubblica a quelle strettamente necessarie e proporzionate. D’altro canto, anche la durata della conservazione dei dati dovrebbe essere limitata, così come l’uso dei sistemi di riconoscimento biometrico negli spazi pubblici. Infatti, non bisogna dimenticare che, anche quando gli strumenti di sorveglianza sono messi in atto per motivi legittimi, questi possono essere facilmente usati per torbidi scopi per i quali non erano stati originariamente progettati.