Secondo l’Istituto Cattaneo nessuna ondata nera, ma un terzo del Parlamento sarà sovranista
Di Simone Santucci
L’avvicinarsi della scadenza dell’ottava legislatura europea e delle elezioni del nuovo Parlamento nel 2019, le prime dopo l’attivazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona, ridefinirà nettamente, e con effetti imprevedibili, la geografia politica dell’Unione con l’implosione di un sistema a più riprese ritenuto difficilmente penetrabile da forze esterne alla tradizione politica comunitaria.
Secondo una ricerca dell’Istituto Cattaneo, infatti, l’attuale maggioranza popolare-socialista, per la prima volta, non avrebbe più i voti per garantirsi l’autosufficienza. La lunga crisi dei partiti storici tradizionali infatti, in luogo di un massiccio rafforzamento delle forze sovraniste ed “eurocritiche” già a più riprese manifestatosi nelle recenti elezioni in Spagna, Regno Unito, Germania e Italia, produrrà con molta probabilità una lunga situazione di stallo e una Commissione europea variegata e politicamente frammentata. Per comprendere la natura dello scenario basti pensare che secondo tali dati il gruppo popolare si attesterebbe attorno ai 180 parlamentari, contro i 217 uscenti, con una perdita netta del 6,5% dei consensi mentre l’area socialista, in difficoltà da diversi anni, perderebbe un ulteriore 4,5% passando così da 169 parlamentari a 144. Un 11% in meno che secondo tale previsione premierebbe, se pur di poco, le forze liberaldemocratiche dell’Alde che passerebbero, invece, da 67 a 72 eletti. Al contrario assisteremmo ad un clamoroso successo dei gruppi d’opposizione, l’Efdd (composto, tra gli altri, da Movimento 5 Stelle e dalla destra euroscettica di Alternative für Deutschland) con un netto +3,2% e un +2,2% per l’Efn (che vede al suo interno, oltre alla Lega, il Rassemblement national di Marine Le Pen e la destra austriaca Fpo, al governo assieme ai democristiani di destra del Premier Kurz). Il totale dei consensi dei partiti, di diversa estrazione, attualmente all’opposizione e considerati critici verso l’eurosistema, raggiungerebbe una significativa percentuale del 24%, aumentando così il proprio consenso dall’attuale 16,5% al 24%: un “blocco” sovranista con il quale, con ogni probabilità, ogni maggioranza possibile dovrà fare i conti, anche a seguito del venir meno della pattuglia moderata dei conservatori britannici, da sempre euroscettici ma comunque mai ascrivibili alla forze anti-europeiste tout court.
Sul cambiamento politico che verrà bastino alcuni dati: se si esclude la Spagna, nella quale Pedro Sanchez è recentemente divenuto Presidente di un Governo di minoranza solo grazie ad una mozione di censura, nessun esponente del gruppo socialista guida attualmente uno dei grandi partners UE. Non era mai accaduto. Come mai si era verificato i capi del governo di Italia, Francia e Germania (e Spagna) appartenessero a partiti che compongono gruppi parlamentari tutti differenti tra loro. Se, paradossalmente, il Regno Unito facesse ancora parte dell’UE questo record sarebbe ancor più stupefacente. L’arretramento delle forze politiche classiche, iniziato con l’affermazione di Marine Le Pen alle scorse elezioni europee, di Nigel Farage (ma anche quella di Tsipras, a suo tempo) è ormai dilagante in tutta l’Europa: la sinistra perderebbe, secondo l’Istituto Cattaneo, circa 20 seggi nel sud dell’UE e 9 seggi nell’Europa continentale, complice la sostanziale irrilevanza del Partito socialista francese, del dimezzamento dei consensi del Pd italiano e dell’inarrestabile declino dell’Spd tedesco, un tempo motore della tradizione socialista europea. Va meno peggio ai partiti di tradizione popolare che, nonostante la tensione che sta connotando lo storico gemellaggio Cdu-Csu e la recente sconfitta di Fillon in Francia, riuscirebbero a perdere nel continente solo 4 seggi. Andrebbe peggio nel sud, dove i popolari lascerebbero 12 seggi. Discorso a parte merita l’Europa di Visegrad dove al tracollo dei popolari, meno 22 seggi (e nonostante Orban), seguirebbe con ogni probabilità un massiccio incremento di parlamentari per l’euroscettico Pis polacco e per le altre formazioni politiche sovraniste attualmente non presenti in Parlamento.
Da questo quadro emerge dunque, anche per l’Europa, il definitivo tramonto del bipolarismo destra-sinistra, già attuato in Italia e Francia, e che ora, progressivamente, sarà destinato a cambiare ciò che era ritenuto immutabile per antonomasia: la politica dell’Europa.