La multinazionale cinese ha impugnato l’atto con cui gli Usa hanno vietato alle Agenzie federali l’acquisto dei prodotti della società. Dietro ai sospetti di spionaggio (respinti dall’azienda) si nasconde una lotta Stati Uniti-Cina per l’egemonia tecnologica
Dopo aver lanciato nelle ultime settimane una controffensiva a base di interviste e lettere aperte ai media contro le accuse statunitensi di favorire con i propri dispositivi azioni di cyberspionaggio da parte della Cina, Huawei ha deciso di passare alle vie di fatto nei confronti dell’America.
Nel corso di una conferenza stampa tenuta giovedì 7 marzo presso il quartier generale di Shenzen, i vertici della società di telecomunicazioni cinese (principale forniture di attrezzature a livello mondiale e secondo produttore globale di smartphone) hanno infatti annunciato di aver presentato un esposto presso il Tribunale texano di Plano, con cui chiedono l’annullamento dell’atto mediante il quale, nell’agosto 2018, l’Amministrazione Trump ha vietato per ragioni di sicurezza nazionale alle Agenzie governative statunitensi l’acquisto di prodotti Huawei e la firma di contratti di appalto con fornitori che facciano uso di quei materiali.
Il presidente di Huawei Guo Ping, nel motivare il ricorso contro il National Defence Authorisation Act (da questi definito ‘illegittimo’ e ‘lesivo della concorrenza’), ha evidenziato come finora nelle reti tlc gestite dall’impresa non sia minimamente emersa la presenza di backdoors, ossia di falle che consentirebbero il trasferimento intenzionale di dati e informazioni sensibili dall’operatore ai servizi segreti di Pechino. Inoltre, il responsabile degli Affari legali Song Liuping ha rimarcato come l’azienda non sia né controllata né influenzata dal Governo della Cina.
I sospetti degli Stati Uniti nei confronti di Huawei si sono moltiplicati negli ultimi mesi, e traggono origine principalmente dagli antichi legami del fondatore della società Ren Zhengfei con l’Esercito cinese (presso il quale aveva servito come ingegnere, prima di dare vita nel 1987 al colosso delle telecomunicazioni) e dall’approvazione nel 2017 di una legge che obbligherebbe le aziende del Dragone a collaborare con l’intelligence del Paese qualora venga loro richiesto.
Da parte sua, Ren ha più volte negato le accuse a stelle e strisce ricordando che la sua azienda serve oltre 3 miliardi di clienti in tutto il pianeta, e anche nel mondo occidentale non tutti condividono la posizione degli Usa: se l’Australia ha deciso di escludere la società dalla realizzazione della rete 5G e la Nuova Zelanda ha vietato l’ingresso dei suoi prodotti nelle tlc di ultima generazione, Regno Unito, Francia e Germania non sembrano per ora intenzionati a muoversi in tal senso.
A rendere ancora più elevata la temperatura sul triangolo Stati Uniti-Huawei-Cina vi è poi il caso Meng Wanzhou, la figlia del fondatore dell’impresa che dal dicembre scorso, su richiesta della magistratura americana, si trova in stato d’arresto in Canada per presunte violazioni delle sanzioni ai danni dell’Iran.
Agli inizi di marzo il Governo di Ottawa ha dato il via libera preliminare all’istanza di estradizione arrivata dagli Usa, sulla quale nei prossimi giorni dovranno pronunciarsi i giudici canadesi. Meng ha a sua volta presentato un esposto contro l’Esecutivo, l’Agenzia doganale e la Polizia del Canada in merito alle modalità di esecuzione del suo fermo nella città di Vancouver. La vicenda, già in partenza delicata, ha assunto l’aspetto di un intrigo geopolitico dopo che tra la fine del 2018 e gli inizi del 2019 la Cina (da cui sono arrivati molteplici appelli al rilascio di Meng Wanzhou) ha incarcerato due cittadini canadesi, condannandone a morte un terzo in precedenza sanzionato con 15 anni di reclusione per traffico di droga.
In attesa dell’evoluzione degli eventi, ciò che appare evidente è che dietro il caso Huawei si nasconde una contrapposizione tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia nello sfruttamento delle cruciali innovazioni tecnologiche in dirittura di arrivo. Solo per fare un esempio, dalle reti 5G passeranno le soluzioni legate all’intelligenza artificiale e agli smart data che orienteranno il nostro futuro, e l’attuale leadership dell’impresa cinese nel settore è fattore di grande preoccupazione in quel di Washington.