Il Rapporto Istat sugli indicatori di sviluppo sostenibile: punti di forza dell’Italia i Goal 3 (salute e benessere) e 4 (istruzione di qualità). Grandi punti deboli i Goal 1 (sconfiggere la povertà) e 10 (ridurre le disuguaglianze). Permangono le differenze territoriali per quasi tutti gli indicatori
“Il quadro sintetico degli andamenti tendenziali dell’ultimo decennio indica progressi con riferimento agli obiettivi Istruzione di qualità (Goal 4), Parità di genere (Goal 5), Industria, innovazione e infrastrutture (Goal 9), Consumo e produzione (Goal 12), Energia sostenibile (Goal 7), Giustizia e istituzioni (Goal 16). L’effetto della crisi economica è evidente dall’analisi dei dati riferiti al periodo 2007-2012, con indicatori che peggiorano per i Goal 1 (Povertà), 8 (Lavoro), 11 (Città), 2 (Cibo e agricoltura), 14 (Mare). Nel quinquennio più vicino (dal 2012 al 2017) emerge un quadro di moderato progresso. Lievi miglioramenti si riscontrano per i Goal 2 (Cibo e agricoltura), 4 (Istruzione), 5 (Parità di genere), 7 (Energia sostenibile), 9 (Industria, innovazione e infrastrutture) e 12 (Consumo e produzione). In peggioramento i Goal 3 (Salute), 11 (Città), e 15 (Terra)”.
Ecco il quadro generale della “sostenibilità” dell’Italia, descritto dal II Rapporto Istat sugli indicatori SDGs (Sustainable Development Goals), presentato il 17 aprile scorso presso la sede dell’Istituto nazionale di Statistica.
Entrando invece nello specifico, alcuni dati, più di altri, colpiscono e stimolano la riflessione.
Partiamo, per una volta, dalle buone notizie.
A portarle sono gli indicatori relativi ai Goal 3 (salute e benessere) e 4 (istruzione di qualità).
“L’Italia ha da tempo raggiunto l’obiettivo definito dalle Nazioni Unite per la mortalità neonatale e per la mortalità sotto i 5 anni, collocandosi su livelli tra i più bassi in Europa”, si dice nel rapporto. Quindi, obiettivo raggiunto in questo caso.
Stesso esito positivo è rintracciabile nel goal 4 quando si dice che “in Italia, il 27,9% dei giovani 30-34enni possiede un titolo terziario. L’obiettivo nazionale previsto da Europa 2020 (26-27%) è stato così ampiamente raggiunto”.
Purtroppo però oltre alle good news, ci sono anche molte bad news.
Il dato più allarmante è quello che riguarda più di 17 milioni di italiani a rischio povertà ed esclusione sociale. Inclusi quelli che un lavoro ce l’hanno, visto che gli occupati che non hanno un reddito sufficiente sono il 12,2%. Inoltre, 5 milioni sono in povertà assoluta, con una forte incidenza (12%) tra i bambini.
Altro dato (negativo) degno di nota è quello che riguarda l’uscita precoce da scuola dei giovani, aumentata negli ultimi due anni, fino ad arrivare nel 2018 al 14,5%, soprattutto al Sud.
La quota di NEET tra i 25-29enni raggiunge nel 2018 addirittura il valore più elevato dell’Ue 28 (30,9%).
Sul fronte di genere, il rapporto evidenzia una diminuzione della violenza sulle donne, ma un aumento della gravità dei casi violenti. Peggiora anche il tasso di occupazione delle donne con figli in età prescolare, così come non si riescono a gestire le nuove disuguaglianze create dall’arrivo dei migranti. Anzi, nel 2017 per la prima volta, dopo un decennio in costante crescita, si è registrato un grande calo (-26,4%) del numero di acquisizioni di cittadinanza.
Oltre al benessere economico, sociale e reddituale, gli indicatori Sdgs tengono conto anche dei fattori di benessere legati all’ambiente e ai servizi.
Anche qui c’è poco da festeggiare. Il livello di inquinamento atmosferico da particolato, per esempio, ha smesso di scendere, con valori superiori alla media Ue, soprattutto nelle città della Pianura Padana. Inoltre, il 32,4% delle famiglie dice di avere difficoltà di collegamento con i servizi pubblici nella zona in cui risiede. Cresce poi il numero di costruzioni abusive a quota 20%. A questo dato si affianca l’intensificazione delle calamità naturali, con eventi disastrosi come frane, alluvioni, incendi boschivi, ondate di calore e deficit idrici. Tutti fenomeni legati anche al cambiamento climatico, nonostante l’Europa abbia ridotto tra il 2015 e il 2016 le emissioni di gas serra di 8,7 tonnellate pro capite e l’Italia abbia intrapreso la medesima strada, seppur con meno successo, vista la riduzione di 7,2 tonnellate pro capite. Al contempo, però, il cemento continua ad avanzare, occupando in media 14 ettari di suolo al giorno, nonostante i boschi aumentino, anche se per l’abbandono dei paesaggi rurali dell’entroterra e non per politiche ambientali lungimiranti.
Considerando poi i singoli indicatori per ripartizione geografica, il ritornello è sempre lo stesso: il Nord in una situazione prevalentemente più favorevole rispetto al resto del Paese.
Tra le aree dove la situazione descritta dagli indicatori SDGs è più avanzata emergono le Province autonome di Trento e Bolzano, la Valle d’Aosta, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, mentre la più alta concentrazione di indicatori nell’area di difficoltà si riscontra in Sicilia, Calabria e Campania.
La polarità Nord-Sud si manifesta invece in misura inferiore per il Goal 2 (Cibo e agricoltura), il Goal 5 (Parità di genere), il Goal 7 (Energia), il Goal 11 (Città), il Goal12 (Produzione e consumo) e i Goal 13 (Clima), 14 (Mare) e 15 (Terra) esaminati insieme.