Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Vincenzo Comi, avvocato penalista e Vice Presidente della Camera Penale di Roma
di Vincenzo Comi
Con un emendamento presentato alla Camera dei Deputati dal Movimento 5 stelle si tenta di introdurre nel nostro ordinamento una riforma di inaudita gravità e abnormità: il blocco della prescrizione dei reati dopo la sentenza di primo grado.
Secondo il testo della proposta, “il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna”.
Senza neppure distinguere tra sentenza assolutoria e di condanna, in sostanza la conclusione del giudizio di primo grado aprirebbe le porte ad una pendenza infinita della sentenza di condanna o dell’impugnazione del pubblico ministero contro una sentenza assolutoria.
Si tratta di una paradossale legittimazione del processo infinito in spregio al principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Si può fare così strame di una norma costituzionale?
Il cittadino sottoposto al processo infinito diventa vittima del sistema. Siamo di fronte ad un grave tentativo di violazione delle norme costituzionali e convenzionali e – tra l’altro – si tratta di proposta populista e demagogica inadeguata a realizzare l’obiettivo di accelerare i tempi del processo e la riduzione del carico delle pendenze.
Il vero problema non è la prescrizione, ma la previsione di un modello di processo che, nel rispetto delle garanzie costituzionali, sia definito in tempi ragionevoli. Il problema più attuale e urgente è la ragionevolezza dei tempi e tutti noi operatori pratici ne siamo ben consapevoli ma ancor di più i cittadini coinvolti nei processi.
Il feticcio della prescrizione come strumento risolutivo dei problemi della giustizia penale è un inganno: si
sta drammaticamente introducendo il processo infinito, inammissibile sul piano del diritto naturale e inefficace per assicurare l’effettività della sanzione e la funzionalità del sistema.
Stiamo rischiando di introdurre nell’ordinamento una ulteriore sanzione nei confronti dell’imputato: sopportare il processo infinito, trascurando che la sanzione debba essere applicata solo al condannato in via definitiva.
E nel sistema generale finché il processo pende, la sanzione legalmente prevista sarà inattuabile.
Sorvolando sul metodo e sulla tempistica della proposta che dimostra – almeno apparentemente – una preponderante, se non esclusiva, strategia di propaganda populista in linea con le sortite a cui siamo abituati dal Ministro della Giustizia, qualsiasi dibattito sulla prescrizione deve contenere necessariamente la contestuale previsione del rispetto perentorio dei termini di fase, la cui violazione deve prevedere analogamente alla prescrizione l’effetto estintivo del reato: così si impedisce il processo infinito. In sostanza se entro un certo termine non si esaurisce il giudizio di primo grado il reato si deve estinguere e analogamente per l’Appello o per la Cassazione. E’ semplicemente il rispetto dell’articolo 111 della Costituzione, ultimo periodo del secondo comma: “la legge assicura la ragionevole durata del processo”.
E il punto dovrebbe essere condiviso da tutti i soggetti del processo che, con lo stesso vigore, sono chiamati ad alzare le barricate, visto che stiamo parlando dei diritti fondamentali dei cittadini. Ma così, almeno, non sembra, lette le prime dichiarazioni del Presidente dell’ANM.
L’Unione delle Camere Penali Italiane ha già dichiarato lo stato di agitazione di tutti i penalisti in attesa di ulteriori forme di protesta. E sarà necessario e doveroso fare di tutto per spiegare ai cittadini la gravità di tale proposta. Perché ci si renda conto tempestivamente dell’abnormità e della gravità e si condivida la protesta degli avvocati penalisti.
Non serve a nulla scandalizzarsi e indignarsi quando ci si trovi coinvolti come indagato o vittima in un processo penale. Oggi siamo di fronte al rischio di fare un salto indietro in spregio dei principi costituzionali e convenzionali e senza la consapevolezza che l’articolo 111 della Costituzione è e deve rimanere un presidio di garanzia per tutti, un baluardo conquistato nel tempo e consolidato nel nostro sistema a tutela di tutti i cittadini.