La sinistra non si occupa più dei lavoratori. Mica vero.
Nel Pd pare si fossero messi di buzzo buono e rimboccati le maniche per i disoccupati vittime della crisi. Quella economica che ha messo in ginocchio interi settori fermi ormai quasi da un anno per la pandemia? Nossignori. Al Nazareno l’allarme sarebbe scattato per i “disoccupati politici” scardinati dalle loro poltrone dalla crisi di governo. E su tutti un nome eccellente. Che vanta un curriculum di tutto rispetto. Nelle ultime due righe si legge infatti “presidente del Consiglio”. Per ben due volte.
Lo “sblocco dei licenziamenti anticipato” che si è abbattuto su quella che fu la maggioranza giallorossa, deciso dalle “bizze” di quel Gian Burrasca di Matteo Renzi ha falcidiato l’intero esecutivo. E pure l’avvocato del popolo è rimasto a spasso.
Il non c’è due senza tre non è riuscito a colui che rimarrà negli annali della politica del nostro Paese quasi come una figura mitologica, metà uomo e metà Dpcm.
Ma ora spente le luci di palazzo Chigi e chiuso il gas, insieme al fido Casalino, l’ex premier che farà?
Lo vedremo vagare per la città insieme ai pensionati alla ricerca di cantieri dopo che quella dei costruttori è fallita miseramente?
Neanche le new entry tra le bimbe di Conte delle transfughe Renata Polverini e Maria Rosaria Rossi son servite a salvargli il posto.
E quanta tenerezza vederlo l’altro giorno sul sagrato di Palazzo Chigi con quel tavolino da campeggio e il ciuffo spettinato da un vento dispettoso quasi il il Matteo toscano.
Come fosse un venditore di pentole, il povero premier disoccupato, proprio lui che per ben due mandati era stato così bravo a vendere fumo.
Quel “modello Italia” nella lotta al Covid tanto decantato e quel numero, ormai quasi centomila morti, una media terribile in rapporto alla popolazione, ne sono la prova più evidente.
Anche se non l’unica.
Ma ora a Giuseppi ci volevano pensare i compagni di disavventura del PD, che si sa, sono “buonisti” di cuore, ma soprattutto non hanno ancora uno straccio di candidato spendibile per la Capitale.
E il guizzo nei giorni scorsi, come riportava Repubblica, pare sia venuto ai componenti romani del partito, in testa il sempreverde Goffredo Bettini.
“Je famo fa’ er sindaco della Capitale”.
Un lampo di genio sinistro, un fulmine a ciel sereno per gli abitanti della città eterna.
Lo scenario apocalittico, che proprio da queste colonne avevamo pronosticato tra il serio e il faceto qualche giorno fa, in tempi non sospetti, era ad un passo dal divenire realtà.
Un presagio funesto per i romani, quasi una “gufata”, come usiamo dire a Roma, ma che a quelli del PD doveva essere sembrato l’uovo di Colombo.
Sfruttare l’onda lunga del mandato presidenziale nella prima tornata elettorale utile. Appunto quella della corsa per la poltrona del Campidoglio, che Covid permettendo dovrebbe svolgersi da qui a qualche mese.
“Lo famo corre’ a #Roma”, si sarebbero detti al Nazzareno.
Salvando capra e cavoli.
Infatti che a Zingaretti e soci l’attuale sindaco della Capitale, Virginia Raggi, che ha riproposto la sua candidatura gli si riproponga, appunto, indigesta come i peperoni non è un mistero.
E che un’eventuale sostegno, in caso di ballottaggio, alla “sindaca” sarebbe un brutto rospo da ingoiare pure.
Ma con Conte alle calcagna Virginia sarebbe stata spacciata.
Anche Calenda se la sarebbe dovuta sudare.
Partita durissima.
Ma ieri è arrivato il “no, grazie” dell’ex premier.
Niente da fare. Non ci sta.
Tutto da rifare al Nazareno. Ricominciano i provini.
Aspettando anche la candidatura del centrodestra.
Che magari arriverà quando la Giorgia nazionale avrà finito la sua lotta solitaria nella coalizione contro i Draghi, manco fosse san Giorgio.
Ma almeno per la corsa al Campidoglio speriamo si arrivi a una proposta unitaria del centrodestra.
E che si mettano da parte le azzuffatine.
Altrimenti addio sogni di gloria.
Conte o non Conte, per il centrodestra sarebbe servire all’avversario la vittoria su in piatto d’argento.