L’esecutivo al lavoro per studiare incentivi ai nuovi assunti. Tra i nodi da sciogliere: il termine “giovani”, le “strategie” delle imprese, il finanziamento
Estate calda, quella dei tecnici di Palazzo Chigi. E non solo per le difficili temperature atmosferiche registrate a Roma negli ultimi mesi. Al centro degli sforzi del Governo, infatti, l’eterna questione di come far ripartire consumi e investimenti nel Paese, con un occhio attento alla drammatica situazione del lavoro giovanile.
I numeri diffusi dalla Fondazione Bruno Visentini, a cui va il merito di aver misurato il “gap generazionale”, non lasciano presagire, in assenza di misure correttive in tale ambito, nulla di buono: la crisi ha accentuato il divario condannando un’intera generazione a non potersi emancipare dai loro genitori, con un netto peggioramento delle condizioni economiche dei nuovi nuclei familiari “under 35” che, da qui al 2030, potrebbero vedere ulteriormente peggiorare le stime di crescita non solo professionali.
Va in questa direzione anche il nuovo allarme lanciato dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che, nelle scorse settimane, è tornato sul tema delle criticità che i lavori intermittenti, voucher e precariato avranno sulle future pensioni dei millenials: mille euro di stipendio oggi equivarranno ad una pensione di 800 euro domani, da riscuotere non prima del 75° anno di età.
La causa prima di tale situazione rimane l’assenza di prospettive d’impiego a lungo termine. Ed è proprio su tale impellenza che il Governo è all’opera con l’obiettivo di individuare una misura efficace da inserire nella prossima legge di bilancio, la cui cornice è in discussione in questi giorni. La strada, però, è ancora lunga, anche se non mancano i presupposti per un’azione di rilancio. Confortato dai dati che arrivano dal Pil (cresciuto dell’1,5%, più delle aspettative, anche se l’inflazione rimane bassa), l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni auspica di poter utilizzare tali maggiori risorse per dare una boccata d’ossigeno all’economia occupazionale, prevedendo un incentivo volto a favorire l’assunzione di giovani a tempo indeterminato, con un beneficio per le aziende pari al dimezzamento del cuneo fiscale, che dal 30% passerebbe al 15% per due o tre anni, con un costo a regime stimato tra i 2 e i 2,5 miliardi. Ma i giochi sono tutt’altro che chiusi, a partire dai commenti del presidente di Confindustria Boccia che definisce “timidi” tali interventi.
Ma la prima vera criticità della proposta riguarda proprio la definizione di “giovane”: nelle intenzioni del governo lo sgravio dovrebbe coprirebbe l’intera platea degli under 32 (età sostenuta con forza dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando, sotto la quale non vorrebbe scendere), ma l’Unione europea ha espresso, seppur informalmente, le proprie perplessità su tale asticella anagrafica. Per i tecnici di Bruxelles sarebbe meglio limitare lo sgravio a 29 anni, cosa che farebbe rimanere fuori dai benefici una porzione considerevole di giovani.
Il secondo profilo problematico è il rischio di azioni maliziose da parte delle imprese, le stesse che hanno assunto negli ultimi anni utilizzando gli sgravi del job act e, adesso, ingolosite dai nuovi incentivi, sarebbero pronti a licenziare gli stessi lavoratori per poi riassumerli secondo le nuove norme godendo, così, di nuovi contributi.Oppure licenziare i lavoratori più anziani e più costosi, effettuando un ricambio generazionale a carico dello Stato. In entrambi i casi si tratterebbe, a buon titolo, di una “sostituzione” di forza lavoro più che di nuova occupazione, cosa che tradirebbe lo spirito dell’agevolazione governativa. Per questo è già allo studio un rimedio che – secondo le ipotesi più accreditate – scongiurerebbe tale effetto: impedire l’accesso al beneficio alle imprese che, negli ultimi sei mesi, hanno licenziato un lavoratore, blindando nel contempo i nuovi assunti con una clausola di non licenziabilità per un periodo temporale più o meno lungo. Rimarrebbe confermato il tetto annuo agli incentivi, pari a 3.250€.
Al di la delle buone intenzioni, in ogni caso il nodo principale rimane sempre quello delle coperture finanziarie.
Una prima risposta in tal senso potrebbe arrivare già il 20 settembre, in occasione della presentazione della Nota di aggiornamento del Def. In parallelo, si attende con ansia il via libera dall’Ue sull’utilizzo del margine di flessibilità, cosa chiesta più volte dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e che, a meno di colpi di scena, dovrebbe essere concesso. Se così fosse sarebbe anche ipotizzabile un taglio permanente dell’aliquota contributiva di almeno 4 punti (dal 33% al 29%) sui nuovi assunti, due punti a favore dei giovani e due a favore delle imprese. Per sempre.
Insomma, per ora tutto lascia pronosticare la buona riuscita dell’operazione, una manovra che permetterebbe, forse, di irraggiare un primo sprazzo di fiducia verso chi, oggi, è costretto a barcamenarsi senza alcuna prospettiva certa nel difficile mondo del lavoro.