Anche Google si appresta ad entrare nel mercato dei pagamenti elettronici, riducendo sempre più la linea di confine tra il mondo digitale e quello reale. Da sciogliere il nodo privacy
di Alessandro Alongi
Ancora non c’è nulla di ufficiale, a parte una frase molto eloquente proveniente dai vertici di Google: «Tante novità in arrivo». A dare sostanza alle parole però, ci pensano le indiscrezioni che nei giorni scorsi hanno svelato come il gigante di Mountain View è pronto a farsi banca, lanciando un servizio di pagamenti elettronici non solo sul web, ma anche nella vita reale.
Analogamente ad Apple (che già conta 130 milioni di utenti) e a Samsung, dunque, anche il motore di ricerca più celebre della rete si appresta a cavalcare l’onda del «fintech», ovvero l’insieme delle prestazioni economico-finanziarie digitali.
Negli ultimi anni, grazie a numerose startup in ambito finanziario, il mondo del credito si è progressivamente trasformato: se fino ad oggi per trasferire denaro, richiedere un prestito o effettuare un pagamento bisognava ricorrere ad uno sportello bancario, con l’affacciarsi di Internet nell’agone della finanza tutto ciò sta scomparendo. E lo hanno capito anche i giganti della rete, pronti a investire sull’Open Banking, servizi finanziari sempre disponibili, semplici e a portata di mano, direttamente da PC o smartphone.
A meno di clamorose smentite già questa settimana Larry Page presentarà «Google Pay», un borsellino elettronico attraverso il quale sarà possibile effettuare un pagamento avvicinando semplicemente il proprio smartphone al lettore POS di qualsiasi esercente. Niente più carte di credito, bancomat e denaro contante, strumenti di pagamento relegati ormai in soffitta.
Google non è la sola a credere nella rivoluzione digitale del settore creditizio. Il grande club «GAFA» (dalle iniziali della stessa Google, ma anche Amazon, Facebook e Alibaba, ovvero i principali operatori di Internet) ha ormai deciso di puntare tutte le energie sulla trasformazione del concetto di banca, virtualizzando il denaro e inaugurando un nuovo corso della finanza, partendo proprio dai pagamenti digitali, ma non solo. Facebook (tramite Messanger) ad esempio, sta pensando di esportare anche in Europa il sistema di pagamento e scambio di denaro tra utenti del popolare social network, servizio già attivo negli USA. Oltre oceano Amazon, insieme alla banca d’affari Jp Morgan, ha lanciato una carta di credito riservata ai clienti “Prime”, che da diritto a numerosi sconti sui prodotti acquistati tramite la piattaforma di e-commerce.
Ma le apprensioni per l’ingresso di questi nuovi operatori virtuali nel mondo bancario non si sono fatte attendere. Da più parti cresce la preoccupazione per la privacy degli utenti, a causa della possibile (e fatale) rielaborazione dei dati personali degli utenti, incroci tra abitudini di consumo, acquisti effettuati e disponibilità alla spesa del singolo cliente, tutte informazioni facilmente reperibili da Google tramite la semplice elaborazione dei dati provenienti proprio dai pagamenti elettronici. Se poi tutta questa mole di notizie venisse messa in relazione con le ricerche effettuate dagli stessi utenti sul celebre motore di ricerca o mappando i loro spostamenti grazie al GPS dei telefoni, allora la frittata è fatta: a quel punto la società californiana saprà tutto dei suoi clienti, forse più di essi stessi, potendo così disegnare un profilo molto attendibile a cui proporre offerte commerciali sempre più mirate e, in ultima istanza, catalogare l’intera vita degli utenti, rinchiudendola in un account.
Uno scenario che, visto da quest’angolazione, fa di certo paura. Verrebbe da dire, contrariamente al passato che, forse adesso più che mai, «pecunia olet».