Non solo mobilità dei lavoratori nella proposta Juncker, ma anche ristrutturazioni aziendali transfrontaliere
Di Alberto Giusti
Una nuova Autorità Europea per il Lavoro è la proposta all’ordine del giorno della Commissione Politiche europee in Senato questo pomeriggio, dove la relatrice Luisa Angrisani (M5S) aveva già introdotto il tema nella seduta della settimana scorsa.
L’idea era stata lanciata dal Presidente della Commissione Europea a settembre 2017: nel suo discorso di fronte al Parlamento Europeo sullo “Stato dell’Unione”, Jean Claude Juncker aveva espresso la necessità di un organo ad hoc per la libera circolazione dei lavoratori. Un tema da sempre scottante nell’Unione, che sulla presunta invasione degli “idraulici polacchi” ha visto addirittura fallire, nei primi anni 2000, il progetto di Costituzione europea. Quel rallentamento nel processo di integrazione non ha impedito che le persone continuassero a spostarsi fra gli stati membri con sempre maggior frequenza: oggi sono 17 milioni i cittadini europei che vivono o lavorano in uno stato diverso da quello in cui hanno la cittadinanza, una cifra quasi doppia rispetto al 2008.
Ciò non significa che nei paesi membri vi siano norme uniformi sul trattamento dei lavoratori provenienti da altri paesi europei. In particolare, frequenti sono le problematiche relative alla mobilità transfrontaliera (che riguarda ogni giorno 2 milioni di persone), per non parlare della scarsità di informazione pubblica e univoca sulla circolazione dei lavoratori.
L’agenzia dovrebbe quindi agevolare l’accesso alle informazioni su diritti e doveri di lavoratori e datori di lavoro, sul coordinamento della sicurezza sociale e sull’accesso ai servizi. Inoltre dovrebbe sostenere la cooperazione attiva fra le autorità nazionali per l’applicazione della normativa UE, anche coordinando ispezioni o attività di controllo (solo su richiesta degli Stati membri). Il più delicato dei temi in campo, non a caso descritto in maniera ambigua, sembra però essere un altro: ovvero la possibilità di mediazione in caso di controversie e o perturbazioni del “mercato del lavoro transfrontaliero” nel quadro di ristrutturazioni di imprese su più Stati membri o “progetti con ripercussioni sull’occupazione nelle regioni transfrontaliere”.
Insomma, l’Unione potrebbe avere presto un’agenzia alla quale gli stati membri potrebbero rivolgersi anche in alcuni casi di delocalizzazione, che ovunque e in particolare nel nostro Paese hanno un grande impatto sull’opinione pubblica e sulla scena politica. Si tratta di un argomento al centro sia del recente “decreto dignità” del Ministro Di Maio, sia della discussione avviata dall’allora Ministro Calenda a proposito del caso Embraco.
I tempi per la formazione di questa agenzia, che avrà natura decentrata e funzionari sparsi in tutti gli stati membri, sono comunque ancora lunghi. Se la tabella di marcia legislativa non incontrerà ostacoli, dovrebbe avviare la sua attività nel 2019 ed entrare pienamente in funzione entro il 2023. Nel mezzo potrebbero esserci elezioni europee rivoluzionarie per l’Unione, vista l’ascesa in tanti paesi di partiti sempre più lontani dai filoni popolare e socialdemocratico.
Insomma, il destino della nuova autorità europea per il lavoro dipenderà molto anche da chi si troverà a gestirne direttamente la creazione dalle stanze della Commissione Europea. A maggior ragione, sarà utile seguire da vicino il passaggio parlamentare italiano: fra un anno, le idee e le opinioni della maggioranza gialloverde potrebbero avere in Europa molta più forza di oggi.