Mi pare fondamentale premettere che non è mai troppo tardi per riflettere sul tema della natura che debba avere uno stato anche se la questio può sembra desueta. Il momento attuale, infatti, c’impone un ripensamento sui concetti di etica, diritto, libertà e ci costringe a verificare se il tutto possa basarsi su una chiave interpretativa univoca; intendo riferirmi all’opportuno bilanciamento tra le esigenze della collettività e quelle individuali, comprendendo, tra queste ultime, la possibilità / dovere di ognuno di partecipare alla vita e allo sviluppo della comunità di appartenenza, mediante il proprio concreto contributo in termini materiali e intellettivi.
Qual è la natura dello stato etico? Cosa comporta? Quest’ultimo decide quale sia il comportamento “eticamente edificante” considerando i cittadini portatori di diritti, solo se operano secondo regole note alle quali devono omologarsi.
In uno Stato etico le esigenze individuali e sociali hanno una base e si realizzano proprio nello Stato medesimo. Filosofi come Hobbes ed Hegel ravvisano che l’organizzazione statuale etica rappresenta il fine ultimo cui indirizzare l’operato umano: il bene proprio combacia con il bene comune.
Hobbes, a tal proposito, nel Leviatano è esplicito: lo stato assume su di sé la ‘totalità’ dei diritti del singolo, John Locke, caposaldo del pensiero moderno, nei Due trattati sul governo sostiene, a sua volta, che il potere non possa concentrarsi nelle mani di un’unica entità, né tantomeno possa essere, assoluto e indivisibile. Gli uomini non cedono allo stato tutti i loro diritti e facoltà, ma solo alcuni e lo stesso è tenuto a rispettare i diritti naturali e inalienabili degli individui, quali la vita, la libertà, i beni, altrimenti verrebbe a cadere il patto sociale su cui si basa.
Nella concezione contrattualista di Locke i cittadini conservano il diritto di ribellarsi allo stato, quando questo diventa tiranno e trascende i limiti che gli sono stati imposti al momento della fondazione. Da attento sostenitore del carattere razionale dell’etica, il filosofo inglese ritiene che non si possa proporre nessuna regola morale senza dar conto alla ragione, combaciante con l’utilità, atta a promuovere la conservazione della società civile e la felicità pubblica.
Per Montesquieu, soffocando la libertà dell’individuo, si crea una società ideologizzata, uno stato etico, che si fonda sulla presunzione di essere perfetto, ma la separazione dei poteri è la condizione basilare per la conservazione della libertà e per l’instaurazione di un equilibrato rapporto tra etica e politica. Di fatto la tolleranza, come la libertà, non può essere illimitata, altrimenti si annulla da sola.
La condotta dello stato, inoltre, non è scevra da valutazioni morali da parte di ogni cittadino che ha il dovere / diritto di resistere e di ribellarsi di fronte a ogni forma di abuso. Un’etica coerente mira ad ottenere il massimo in relazione al bene comune, combaciante proprio con il bene individuale.
Un notevole problema consiste nel definire il principio su cui si fonda la libertà: l’essere liberi. Molteplici pensatori hanno cercato d’individuare i principi etici universali che indirizzano l’agire umano e chiariscono quel che merita o non merita di essere messo in pratica.
Persino Kant, dibattuto tra il concetto del razionale e l’etica, era costretto ad ammettere che il “voler ciò che si deve” potrebbe essere stato previsto da un copione ove le scelte “libere” dell’uomo rischiano di ridursi alla mera esecuzione di un progetto preordinato. Così, la libertà assoluta rischia di esser un’utopia, in quanto si può agire pensando di essere liberi, quando in realtà non lo siamo per nulla.
La legge può e deve limitare e regolare la libertà individuale, quando ciò serve a combatte l’abuso, la prevaricazione, l’ingiustizia, ponendo ogni uomo sul piano dell’uguaglianza. Siffatto orientamento sorge dal fondamentale principio che “la libertà individuale finisce dove inizia quella altrui” e dalle regole di non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te e, soprattutto, di fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.
Quando, però, la legge va oltre la sua funzione regolatrice e armonizzatrice fra la libertà individuale e il bene collettivo, le cose cambiano. È accettabile una legge ritenuta ingiusta e prevaricatrice, una legge illiberale? Socrate risponderebbe di sì e lo dimostrò, preferendo la morte per cicuta, alla fuga. La legge, secondo l’Ateniese, va sempre rispettata anche se ingiusta, il dovere del cittadino è, caso mai, quello di cambiarla. La sua, comunque, è un’idea non sempre condivisa, dato che molti altri hanno asserito che la legge, quando è liberticida, autorizza alla ribellione che può essere violenta o non violenta, sfociando nella disubbidienza civile.
La libertà è un valore attinente alla coscienza e alla ragione stessa: l’uomo è libero perché la sua coscienza è libera e tale resterà anche se incatenato o imprigionato. Il valore della libertà, quale principio inalienabile, va sempre difeso e il rispetto della stessa, da parte dello stato va, con identica attenzione, monitorato.
Fondamentale, a tal proposito, è il rispetto dei Governi della Carta costituzionale, posta a garanzia dei valori fondamentali e inalienabili. L’art. 1. della nostra Costituzione considera l’Italiauna Repubblica democratica, fondata sul lavoro, la cui sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti posti dalla Costituzione stessa.
A fronte dell’emergenza sanitaria vissuta, appare necessaria l’esigenza di creare un equilibrio tra poteri, un’adeguata dialettica tra Governo e Parlamento per non derogare in maniera erronea alle libertà individuali. In gran parte del pianeta alcuni governi hanno varato delle misure finalizzate a contenere il contagio, che di fatto hanno eroso la libertà; di conseguenza la crisi planetaria dovuta al Covid-19, è stata usata da taluni in modo strumentale col fine di consolidare il potere di un esecutivo che, in virtù dell’emergenza, ha agito anche come legislativo.
In Italia abbiamo avuto una gestione prevalentemente governativa dello stato di emergenza, con una marginalizzazione del ruolo del Parlamento. La Costituzione italiana non prevede disposizioni in merito all’emergenza sanitaria: pertanto lo stato di emergenza sanitaria è stato deliberato in forza della Legge n. 225/1992 sulla Protezione Civile dal solo Presidente del Consiglio dei Ministri, senza il coinvolgimento nella decisione del Parlamento, coinvolgendo libertà fondamentali, coperte da riserva di legge.
Le tutele e garanzie proprie del procedimento di formazione della legge ordinaria, in uno Stato di Diritto, dovrebbero garantire una congrua partecipazione delle minoranze alla formazione della volontà legislativa, conferendo alla legge quella capacità di offrire tutela alla persona e alle formazioni sociali rispetto ad altri poteri.
Pertanto, sorgono molti dubbi sulle vicende italiane degli ultimi due anni, fino a porre un inquietante dubbio “nella Penisola della pandemia, lo stato di diritto è rimasto tale o è virato verso lo stato etico, improntato al dogma: la salute prima di tutto”?
Vi è anche un altro dubbio non meno inquietante: i vari decreti, con i loro corollario, hanno forse salvato molte vite, ma a che prezzo? Quanto malessere sociale hanno prodotto, quale crisi economica hanno generato, quanto stress psicologico di massa e quante sono state le vittime indotte, quelle alle quali non sono stati garantito interventi d’urgenza, o adeguate cure per altre gravi patologie? Solo il tempo e un’analisi più distaccata potranno suggerirci delle risposte adeguate, nell’attesa ricordiamoci, però, una cosa, la libertà è difficile da conquistare ma è estremamente facile perderla.