Nel processo tributario il contenuto dei messaggi scambiati su WhatsApp non può essere utilizzato come prova: a questa conclusione è giunta, pochi mesi fa, la Commissione tributaria Provinciale di Reggio Emilia che, con la sentenza n. 105/2021, ha accolto il ricorso di un imprenditore, annullando così l’avviso di accertamento emesso a suo carico dall’Agenzia delle Entrate sulla base di alcuni messaggi WhatsApp, con cui veniva recuperata l’IVA per più di 600 mila euro.
Per capirci di più LabParlamento ha incontrato l’Avv. Susanna D’Alessio, avvocato tributarista dell’Ordine di Roma, P.hD. in diritto tributario.
Ci può spiegare meglio la sentenza dei giudici tributari emiliani e quale sarò la potata di tale decisione?
La controversia da cui scaturisce la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia nasce dalla notifica ad un contribuente di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate gli comunicava che veniva ritenuto amministratore di fatto di una società dichiarata fallita, utilizzata, a dire dell’Agenzia, quale mero schermo giuridico per l’emissione di fatture inesistenti al fine di evadere l’IVA, che veniva così richiesta al contribuente stesso.
La prova dell’Amministrazione Finanziaria si fondava sullo scambio di alcuni messaggi Whataspp tra l’imprenditore e alcuni clienti e tra lo stesso e gli uffici amministrativi della società da cui si sarebbe evinto il suo ruolo influente e dominante.
I giudici tributari emiliani però hanno accolto il ricorso del contribuente affermando l’inutilizzabilità dei messaggi presenti su supporti “I message” in quanto non può essere garantita la loro autenticità. Tali messaggi sono infatti archiviati solo su supporto telefonico dell’utilizzatore, a differenza dei classici sms, che sono memorizzati anche da parte delle compagnie telefoniche.
I giudici tributari però, richiamando la giurisprudenza in ambito di diritto penale, hanno precisato anche che l’utilizzabilità di tale tipologia di conversazioni non è esclusa del tutto, rimanendo condizionata all’ acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la registrazione al fine di verificare l’affidabilità e la provenienza delle conversazioni. Si tratta di una sentenza condivisibilmente garantista, che tutela il diritto di difesa del contribuente ma anche innovativa visto che spesso in ambito tributario vengono ammesse prove di ogni tipo, non esistendo un principio espresso di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite.
Ma allora nel processo tributario è ammessa ogni tipo di prova? un contribuente come può difendersi?
Occorre precisare che la fase istruttoria è governata, riguardo le parti, dal principio dell’onere della prova come disciplinato dall’art. 2697 c.c. e i poteri istruttori attribuiti al giudice tributario sono “meramente integrativi dell’onere probatorio principale e sono utilizzabili solo qualora sia impossibile o sommamente difficile fornire, da parte di chi vi era tenuto, le prove richieste” (Corte Cost. sent. n. 109/2007).
Per tali ragioni è molto delicata la fase amministrativa che precede l’emissione di un avviso di accertamento ove la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate che compiono le indagini possono usufruire di diverse tipologie di poteri istruttori ed arrivare anche ad emettere un accertamento sulla base di mere presunzioni, c.d. accertamento sintetico, valorizzando, ad esempio, alcuni acquisiti compiuti dal contribuente o alcune incongruenze nella gestione imprenditoriale.
Ovviamente tali poteri trovano dei limiti e devono essere bilanciati con il diritto di difesa del contribuente ed anche con altri diritti personali come il diritto all’inviolabilità del domicilio, il diritto alla riservatezza e in generale al rispetto della privacy, ecco perché ci sono regole precise in questo campo che condizionano la validità di un eventuale avviso di accertamento. Tornando al tema della messagistica reperibile su pc e tablet, va detto che ci sono specifiche indicazioni circa la modalità di acquisizione di tale tipologia di corrispondenza.
Ad esempio, vi è differenza anche tra le mail “aperte” rispetto a quelle non ancora visionate perché in questo ultimo caso esse sono paragonate ad un plico sigillato e la tutela della riservatezza del contribuente è maggiore diventando necessaria per la loro apertura un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. In definitiva, è importante per il contribuente conoscere i propri diritti per poter così esplicare il proprio diritto di difesa al meglio e, quindi, se necessario affidarsi a dei professionisti specializzati.