In Francia il Fisco si avvarrà delle notizie presenti in Rete per stanare gli evasori, raccolti ed elaborati in automatico da un sofisticato algoritmo. Via libera all’utilizzo di quanto presente sui social per dimostrare il reale tenore di vita dei contribuenti. Ma l’Italia non rimane a guardare
In Francia la lotta all’evasione ha un alleato in più. Quella che sta per iniziare al di là delle Alpi è una battaglia all’ultimo algoritmo, con la tecnologia impiegata per scovare i furbetti che, a dispetto di quanto dichiarato alla fiscalità pubblica, conducono una vita da veri nababbi.
Il governo presieduto da Michel Macròn, in chiusura d’anno, ha ricevuto il via libera dal Conseil constitutionnel (l’equivalente della nostra Corte costituzionale) ad utilizzare la tecnologia contro gli evasori fiscali. Tempi duri, dunque, per i molti nullatenenti che, in realtà, dispongono di svariate risorse nascoste ai gabellieri e, spinti dal proprio insopprimibile ego, pubblicano urbi et orbi sulle proprie pagine social auto di lusso, gioielli e vacanze da sogno. Del resto, se sei ricco e non lo dimostri, che piacere c’è?
Facebook in primis, ma anche Instagram e Twitter verranno scandagliati continuamente da un algoritmo elaborato dalle autorità transalpine, alla ricerca di ogni immagine, prova o risultanza capace di far emergere palesi contraddizioni con quanto ufficialmente dichiarato da tutti i contribuenti all’amministrazione fiscale.
La norma “svela-furbetti” è stata prevista nella legge di bilancio 2020 dal Parlamento francese e, solo dopo il via libera da parte dei giudici costituzionali, è entrata in vigore, attirando subito l’interesse di molti stati, alle prese con i soliti ammanchi di cassa.
Ma, in quanto ad uso delle nuove frontiere tecnologiche il nostro Paese non sta certo alla finestra. L’uso dei nuovi strumenti è ampiamente usato dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza (come già raccontato da LabParlamento qualche mese fa) che, tramite minuziose indagini sul web, sono capaci di intercettare eventuali anomalie presenti tra quanto dichiarato e il tenore di vita realmente goduto.
Non è disponibile – almeno per adesso – un algoritmo che, come i cugini francesi, è in grado di scandagliare il mare magnum di Internet, ma i presupposti per una possibile introduzione di tale strumento anche nel nostro Paese sembrano esserci tutti; recenti sentenze dei nostri tribunali, infatti, hanno aperto alla possibilità di utilizzo del materiale pubblicato sui social network per dimostrare la discrasia tra quanto dichiarato al fisco e quanto in realtà posseduto dal contribuente, verosimilmente frutto di proventi non dichiarati all’erario.
Su tale punto la Corte di Appello di Brescia ha fatto scuola, stabilendo (con la Sentenza n. 1664/2017) che la documentazione fotografica estratta da Facebook poteva essere idonea a provare il reale tenore di vita del contribuente, sulla falsariga di quanto già avevano stabilito i colleghi di Pesaro (Sent. n. 295/2015) e Ancona (Sent. n. 331/2017) in tema di assegni divorzili: qui, a fronte di miseri guadagni dichiarati dai mariti, le mogli sventolavano foto di cene a base di caviale e cotillon degli ex coniugi recuperate proprio dai social network.
E in tempi dove di nascosto non c’è più nulla, forse vale la pena riscoprire il vecchio adagio di Epicuro, lathe biosas, vivi nascosto. L’unica ricetta che potrà salvare – forse e almeno per adesso – i furbetti.