Pronte le nuove regole M5S sulle retribuzioni dei parlamentari. Con seri dubbi che queste vedano la luce
Tornano all’esame di Montecitorio, dopo aver registrato una prima sonora bocciatura lo scorso anno, le nuove disposizioni in materia di indennità e trattamento economico dei parlamentari, modifiche alle regole attuali proposte dal Movimento 5 Stelle e da sempre cavallo di battaglia dei grillini.
I parlamentari italiani, si sa, guadagnano troppo, molto più dei loro colleghi europei, con un’indennità netta di 5.200 €, importo stabilito da una lontana legge del 1965, la quale prevede la commisurazione dell’indennità dei politici al Presidente della Corte di cassazione.
Accanto a questa cifra – ed è proprio questo l’argomento di maggiore discussione – un rivolo di indennità e benefit aggiuntivi: contributi per la gestione del rapporto con i propri elettori sul territorio, spese di soggiorno a Roma (la famigerata “diaria”, riconosciuta indistintamente a tutti i deputati e senatori, romani e non), insieme al contributo per il personale di segreteria, collaboratori, viaggi aerei e ferroviari. Oltre a un assegno di fine mandato, pari a all’80% dell’importo mensile dell’indennità per ogni anno di carica, a cui si somma un vitalizio che, solo dopo molte polemiche, è stato uniformato al calcolo contributivo come per tutti gli altri lavoratori.
Davvero troppo, specie per chi ideologicamente ha da sempre sostenuto che la buona politica può essere esercitata anche a costi ridotti. Ed è per questo che nel Disegno di legge attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali della Camera, si introducono profonde riforme al trattamento economico dei parlamentari.
Innanzitutto l’indennità base, lo “stipendio” degli eletti, che viene fissato a non più di 5.000€ lordi al mese per 12 mensilità. Niente tredicesima, dunque, per i nostri deputati, almeno nelle intenzioni del Movimento. Altra novità (alquanto dirompente, stando al costume degli appartenenti ai due rami del Parlamento) l’abolizione di ogni indennità aggiuntiva correlata allo svolgimento di altri incarichi interni alla Camera di appartenenza: via, dunque, compensi per i Presidenti di commissione, vice presidenti, questori e segretari.
Ma il Ddl Lombardi va oltre, e punta a stabilire tetti ai rimborsi spese, vero dilemma degli ultimi anni: le spese di soggiorno, di viaggio e di alloggio a Roma verranno riconosciute solo a chi non è residente in città e con un limite massimo, comunque, pari a 3.500€, da documentare puntualmente e rimborsate soltanto una volta che il parlamentare avrà debitamente certificato la spesa pubblicandola su Internet. Basta, dunque, ai rimborsi forfettari, come basta anche a contratti “in nero” dei singoli assistenti. Per le spese di funzionamento di segreteria varranno le stesse regole: consulenti e collaboratori verranno pagati solo a fronte della presenza di un regolare contratto.
A un’attenta lettura del provvedimento, però, appare evidente che, in termini di contenimento delle spese, si potrebbe fare ben più di quanto proposto. Forse perché, dopo quattro anni, anche chi declama la necessità della politica “a costo zero” si è reso conto che rappresentare gli elettori e il proprio Paese richiede uno sforzo economico non indifferente.