*A cura dell’avvocato Alessandro Ciancamerla
Nel corso di un question time di ottobre 2021, il Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, ha reso note le valutazioni di professionalità dei Magistrati italiani per il quadriennio 2017-2021, facendo emergere che il 99,2% degli esaminati ha ricevuto un giudizio positivo.
Leggendo il mero dato numerico sembrerebbe che la giustizia italiana goda di ottima salute e che la condotta dei suoi attori principali sia per lo più irreprensibile.
Tuttavia, il dato valutativo che, va ricordato, viene espresso dall’Assemblea Plenaria del CSM (organo di autogoverno della Magistratura) sembra stonare sia con quanto rilevato nel corso degli ultimi anni dalle autorità europee sia con il dato oggettivo sull’arretrato processuale.
Nel primo caso tanto il Consiglio Europeo che la Corte di Giustizia Europea sono più volte intervenute condannando l’Italia per l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, laddove viene certificato che un processo civile ha una durata media complessiva (primo e secondo grado più il giudizio in Cassazione) di oltre sette anni.
Nel secondo caso, come ricordato in una recente intervista radiofonica dal professor Sabino Cassese, l’ammontare dei procedimenti giudiziari arretrati ha raggiunto la cifra monstre delle 6.000.000 unità.
Ora, è vero che lungaggini ed arretrato non possono essere attribuiti in via esclusiva all’operato dei magistrati ma è altrettanto vero che questi ultimi rappresentano gli attori principali, o quanto meno gli amministratori con potere di impulso e di gestione, delle singole procedure giudiziarie e che pertanto ben potrebbero intervenire per una accelerazione dell’attività processuale.
Questo, ovviamente, si ripercuote anche sul tessuto economico nazionale, visto lo scarso grado di attrazione finanziaria che il nostro paese ingenera in chi vuole fare impresa in Italia. Un investitore che percepisca una eccessiva lungaggine, ad esempio, nel recupero giudiziale di un proprio credito o nella tutela generale di un proprio diritto, indirizzerà le proprie capacità altrove ovvero, semplicemente, desisterà da ogni intento imprenditoriale. Con buona pace del PIL e dell’occupazione.
Nella strettissima attualità, pertanto, assume particolare rilievo una riorganizzazione tanto della responsabilità della magistratura nell’assolvimento delle proprie funzioni, quanto dell’implemento dei poteri dei giudici e della assegnazione agli stessi di termini perentori per lo svolgimento dei processi.
Sotto quest’ultimo profilo, infatti, va ricordato che in sede civile il calendario delle udienze e la loro fissazione dipende in via esclusiva dalla volontà del giudice, senza che gli altri compartecipanti possano in alcun modo influire.
Quello che si auspica è, dunque, un intervento incisivo sul potere discrezionale dei giudici di stabilire termini troppo dilatati per la fissazione delle udienze, tematica che a parere di chi scrive sembra essere stata completamente estromessa dall’attuale progetto di riforma.
Sicuramente più adeguato al carattere di riforma radicale del sistema è, invece, la previsione del c.d. fascicolo di servizio dei magistrati che introdurrà tra i parametri di valutazione anche la “tenuta” delle sentenze emesse dai singoli giudici; cioè verrà valutato, ovviamente non per fini disciplinari ma solo per attribuzione di merito, quante sentenze verranno riformate nei successivi gradi di giudizio.
In conclusione, come augurio per la buona riuscita della riforma della giustizia, ci permettiamo di modificare una famosa citazione di Gandhi adeguandola ai nostri tempi ed al tema che stiamo trattando: la grandezza di un popolo si vede dal modo in cui amministra la giustizia e gestisce i processi.
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