di Angelo Gardella*
Che il fisco nostrano sia una giungla infernale è un dato di fatto. Nella graduatoria stilata dall’Istituto di ricerca americano Tax Foundation che valuta l’efficienza dei sistemi tributari l’Italia figura all’ultimo posto. Ai primi posti troviamo paesi che hanno in comune una tassazione contenuta (15-20%).
Da anni si parla di riforma fiscale, tante chiacchiere pochi fatti. Finora abbiamo visto soltanto una caotica escalation di norme e adempimenti che hanno complicato la vita dei contribuenti al punto da scoraggiare tanti dall’intraprendere iniziative e indotto altri a chiudere le proprie attività.
La burocrazia asfissiante e le storture di sistema hanno fatto il resto. I dati parlano chiaro, negli ultimi anni abbiamo assistito a un vero e proprio sterminio di massa delle partite iva passate da oltre 8 milioni del 2016 a poco più di 4,5 milioni di oggi.
Nell’agenda del Governo troviamo la revisione del sistema fiscale che è uno dei tasselli qualificanti del piano di ripresa e resilienza (Pnrr). Revisione che dovrà tenere conto delle linee guida fornite dal Consiglio dei ministri nella delega al Governo dello scorso ottobre. Il proposito è apprezzabile, ma abituati come siamo alle promesse disattese fidarsi è bene non fidarsi è meglio.
Il timore è che si spacci per riforma un semplice rimescolamento delle carte con qualche ritocco qua e la mentre il Paese ha bisogno di una rivoluzione fiscale non solo per competere con i sistemi più performanti, ma per imprimere la spinta necessaria alla ripresa economica.
Siamo arrivati al punto in cui lo Stato è spesso percepito come nemico da cui guardarsi. Motivo per cui la prima cosa da fare è recuperare il rapporto fiduciario fra Stato e contribuente. Questo si ottiene solo con un radicale cambiamento di sistema in cui le regole imposte devono seguire la logica del buon senso nell’interesse generale e vanno abbandonate logiche vessatorie al solo scopo di soddisfare l’insaziabile voracità dello Stato nel far cassa.
Altro aspetto da rivedere è il corretto inquadramento del principio della capacità contributiva. Capacità contributiva è un concetto molto semplice secondo la comune ragionevolezza, significa capacità di contribuire alla spesa pubblica e quindi di spendere. La tendenza a considerare indice di capacità contributiva il solo possesso di un bene, anche se non produce entrate spendibili, è profondamente sbagliata.
Il prelievo non solo deve essere equo e sostenibile, ma la base imponibile non può prescindere dalla effettiva capacità di spesa del contribuente. L’auspicio è che la riforma possa marcare lo spartiacque fra un sistema che ha rappresentato una pesante zavorra per lo sviluppo del Paese per far posto ad un sistema propulsore della ripresa economica.
Infine, sarò impopolare, ma la riforma del fisco è indispensabile per rimediare una politica tributaria fallimentare motivo per cui non può prescindere da un serio progetto di pace fiscale per le pendenze pregresse, checché ne dica la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 66 depositata l’11 marzo 2022 ha censurato ogni tipo di pace fiscale. Le conclusioni della Suprema Corte sono condivisibili in un sistema fiscale virtuoso, ma non nel nostro.
* Presidente del centro studi “Le partite iva Italia”