Rendere indipendente la rete internet russa, scollegandola dai server internazionali, è sempre più una realtà: censura e controllo degli utenti in agguato, nascosta dietro la paventata sicurezza nazionale
Sotto l’ufficialità di voler rendere sicura l’infrastruttura informatica del Paese in caso di cyber-attacchi, il Presidente russo Vladimir Putin si appresterebbe a rendere indipendente l’infrastruttura Internet dal resto del mondo, ritagliandosi una rete web tutta interna al Paese, da poter isolare dal resto del mondo in caso di attacchi esterni.
È questo, in estrema sintesi, il contenuto del progetto di legge presentato alla Duma dallo stesso Presidente. La messa in sicurezza della rete nazionale avverrebbe imponendo alle società di telecomunicazioni russe di predisporre mezzi tecnici idonei per re-indirizzare tutto il traffico Internet verso nodi stabiliti (e su comando) dal Ministero delle comunicazioni. Inoltre, sarà affidata al medesimo dicastero l’attività di vigilanza sul traffico web degli internauti russi: gli utenti dovranno navigare soltanto nella rete presente all’interno del Paese, così da non dare evidenza ai server esteri dell’attività online di Mosca. Ed ecco che, dietro l’interesse nazionale, si annida il sospetto che l’operazione risulti strumentale anche a monitorare il traffico Internet dei singoli cittadini, così da poter – almeno in astratto – controllare e censurare siti web e dissenso online.
Questa iniziativa riaccende il dibattito sul governo della rete Internet a livello mondiale. Oggi le regole del web sono affidate all’ICANN, un’organizzazione non profit la cui istituzione non è riconducibile ad alcun trattato internazionale. È una soluzione istituzionale originale, con un vertice tecnico basato sulla self-governance degli esperti e di cui fanno parte rappresentanti di governi e multinazionali private. Nessun potere pubblico sovranazionale, dunque.
La questione delicata è proprio questa: l’ICANN è deputato alla supervisione dei root server. Sconosciuti ai più, i 13 root server (dislocati negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, tutti di proprietà privata) non sono altro che “mega-server” posti all’apice della struttura gerarchica della rete, ed è grazie ad essi che Internet può funzionare e attraverso cui passa tutto il traffico mondiale. In relazione al governo di Internet, il tema dei root server assume connotazioni critiche con specifico riguardo alle modalità di gestione e di controllo degli stessi. Cosa accadrebbe infatti se i root server smettessero di funzionare?
A tal proposito merita di essere ricordato quanto accaduto durante le rivolte yemenite del 2011 con la presa di controllo, da parte dei ribelli Huthi, di alcuni server abilitati a indirizzare i siti .ye (il country code di quel paese, come lo è .it per l’Italia) all’interno dello stato. Prima che potessero modificare l’indirizzamento, il presidente yemenita, contattando d’urgenza l’ICANN, chiese di spostare ad un’altra macchina fisica l’indirizzamento verso i siti nazionali, così da neutralizzare il tentativo dei ribelli di controllare il web e garantire, in tal modo, il corretto funzionamento di Internet. Al di là dell’epilogo della vicenda ciò dimostra l’importanza assunta dall’Organizzazione nello scenario democratico mondiale.
Forse forte di questo precedente, il progetto sovietico, dunque, va avanti. Fra qualche mese la rete del governo russo potrà non dipendere più da nessuno e, in caso di attacco, il collegamento web dell’ex impero sovietico potrà continuare ad operare con continuità. Per raggiungere l’obiettivo dichiarato di gestire il 95% del traffico Internet all’interno dei confini nazionali entro il 2020, il costo dell’operazione, secondo le prime stime, ammonterebbe a 1,8 miliardi di dollari l’anno. Non di certo noccioline o, per meglio dire, орешки.