La campagna elettorale estiva produce da subito un effetto nefasto: durante le vacanze non si parla di scuola, è tassativamente vietato tra gli studenti ma anche tra i politici.
La scuola è pertanto condannata all’oblio, almeno per questo giro, a meno che… A meno che qualcuno si accorga della cospicua forza elettorale composta da un milione di insegnanti, col loro indotto, e di incontrovertibili verità e scadenze che peraltro torneranno attuali già a metà settembre, proprio alle soglie del voto.
Ma facciamo un po’ di storia partendo dai tempi andati per poi approdare alla storia più recente. Ci troviamo (forse ancora per poco) in un Paese sedicente cattolico che dovrebbe tenere bene a mente i sei peccati biblici che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Il quinto recita che non corrispondere la giusta mercede ai lavoratori è atto altamente inviso a Dio. Bingo! Siamo ultimi nella UE come retribuzione degli insegnanti e, a ogni rinnovo di contratto, aumentiamo il divario con gli altri Paesi anziché colmare il gap.
Che a nessun politico – nemmeno in campagna elettorale – venga il sospetto di trovarci in tale disdicevole situazione è indicativo della lungimiranza della nostra classe politica nonché – udite, udite – della apatia e della rassegnazione dello stesso popolo degli insegnanti, abituati a prendere bastonate, da decenni, senza reagire.
Fino al 1968, annus horribilis per le due agenzie educative, gli insegnanti non navigavano certo nell’oro ma il loro salario aveva un potere d’acquisto adeguato.
Col passare degli anni retribuzione salariale e prestigio sociale dei docenti di qualsiasi livello cominciarono un inesorabile declino parallelo. Per non disperderci oltre, ci porremo alcune semplici domande le cui risposte sono foriere di quanto hanno funzionato le innumerevoli riforme poste in atto dai governi di turno nell’ultimo mezzo secolo: è aumentato il rispetto per l’insegnante?
È adeguata la sua retribuzione (alla media UE)? È migliorata la situazione previdenziale? Sono state individuate le malattie professionali? Viene tutelata la salute professionale nelle scuole? È diminuita l’età media rispetto alla UE? È aumentata la componente maschile tra i docenti?
Tutte le risposte sono impietosamente negative perché i docenti italiani risultano essere i meno pagati, gli ultimi ad andare in pensione, i più vecchi, infine contano una presenza femminile superiore all’83%.
Attribuire al caso cotanti risultati diviene piuttosto arduo, ma non dobbiamo ora indugiare sull’attribuzione delle colpe per lo scempio causato.
Dobbiamo invece fare un’ analisi per saper dove reperire le risorse necessarie a raddrizzare una situazione ai limiti della sostenibilità, causata da quel combinato disposto nefasto rappresentato dall’abulia degli insegnanti e dall’insipienza della politica nostrana nei confronti della professione.
Se veniamo ai tempi più recenti possiamo vedere come la destra da una parte (ingenti e famosi tagli della Gelmini, oggi peraltro passata al fronte opposto con poca gioia degli insegnanti che ancora restano a sinistra) e la sinistra dall’altra (con la Buona Scuola di renziana memoria), abbiano fatto nascere nel 2018 una speranza nel M5S – votato in modo compatto dagli insegnanti – andata in frantumi prima di nascere e culminata col tragicomico acquisto/distruzione dei famosi banchi a rotelle.
Interventi, tutti, che non hanno contribuito a migliorare di una virgola la pessima situazione della scuola prima descritta. Eccoci così di fronte a un ennesimo passaggio elettorale dove la stessa scuola pare avere poche idee ma confuse.
Prima di trarre le conclusioni su alcune ipotesi, facciamo una breve riflessione sulle risorse che occorrerebbero per equiparare il salario dei docenti italiani alla media UE.
Si dà il caso che la consistente cifra è più o meno la stessa occorsa per istituire il Reddito di Cittadinanza (RdC). Oggi lo Stato, pur non retribuendo adeguatamente i suoi docenti, li ignora e utilizza le finanze pubbliche a suo piacimento facendo bieco assistenzialismo “diseducativo”.
Uno Stato giusto e autorevole deve prima dare le meritate spettanze ai propri lavoratori, quindi adoperare al meglio le eventuali risorse disponibili per promuovere il benessere collettivo e in particolare dei cosiddetti “fragili”.
Mi sia concessa una chiosa per le “anime belle e sensibili”, tra gli insegnanti, che talvolta hanno contestato questa mia proposta etichettandola come “guerra tra poveri” e fantasticando che “il RdC non va abolito e le risorse per gli insegnanti devono essere garantite tagliando le spese militari, gli stipendi dei politici, combattendo l’evasione fiscale, sequestrando beni ai mafiosi, abolendo i finanziamenti alle scuole private, attingendo dal PNRR etc”.
Cari insegnanti, lo Stato non può toccare, né gestire le vostre spettanze, ma voi sarete certamente liberi di impiegare al meglio le vostre risorse magari finanziando proprio attività caritatevoli.
Bando alle ciance e alle favole, ora che alcune forze politiche hanno richiesto la cancellazione/rimodulazione del RdC occorre fare subito presente che tutte le risorse da qui recuperate dovranno essere – hic et nunc – impiegate per sanare l’ingiustizia che vede i docenti italiani come i peggio pagati nella UE.
Tanto più che siamo alle prese col rinnovo del contratto oramai scaduto da alcuni anni. Non è un caso se alcuni leader politici ipotizzano – guarda caso proprio in questi giorni – estemporanei ed evanescenti aumenti salariali dei docenti: ma non eravate al governo proprio voi?
E come mai non vi è venuto in mente prima? E soprattutto perché non indicate puntualmente la copertura finanziaria restando vaghi e fumosi come sempre nel mezzo secolo appena trascorso?
Restano ora da analizzare ancora tre caratteristiche che riguardano il voto degli insegnanti: la sua forza (un milione di docenti con un indotto di quattro milioni); il suo elettorato tendenzialmente di sinistra; il fattore femminile (83% degli insegnanti sono donne). Sul primo c’è poco da dire e molto da riflettere e lavorare per chi ambisce a vincere la competizione elettorale.
Sul secondo è possibile prevedere un riequilibrio se non addirittura un ribaltamento a seguito di tagli scellerati e “buone scuole”. Infine, chi finalmente si occuperà di tutelare una categoria professionale quasi esclusivamente al femminile nonché la sua salute professionale (burnout, Stress Lavoro Correlato e riconoscimento malattie professionali), otterrà il meritato consenso dall’intera società e non solo dalla stessa categoria professionale che, pur svolgendo un ruolo chiave, resta la più trascurata in assoluto.
E se poi l’aspirante premier fosse donna? Sarebbe un vero peccato che non cogliesse al balzo l’occasione nell’interesse del Paese e di chi è chiamato all’arduo compito di formare le future generazioni.
Fantapolitica? Forse, ma ci piace pensare che, se solo lo volessero, l’Italia sarebbe nelle mani degli insegnanti.
Post scriptum: mentre scriviamo viene presentato il programma del centrodestra che contempla anche la scuola. Apprendiamo che nulla di quanto scritto qui è stato recepito.
Ci sono ancora pochi giorni per correre ai ripari o per scrivere ex-novo un programma sensato, contenente salute e retribuzione professionale unitamente a una equa riforma previdenziale che tenga ovviamente conto delle malattie professionali ancora da riconoscere ufficialmente.