Non si ferma l’ondata di terrore in Afghanistan dopo che, lo scorso luglio, l’esercito statunitense ha lasciato il paese, che occupava dall’indomani dell’11 settembre 2001, lasciando in tal modo via libera ai talebani e a quel sogno mai sopito, ovvero creare uno stato islamico nel cuore dell’Asia.
Subito dopo la partenza dell’ultimo cargo a stelle e strisce, è iniziata inarrestabile l’avanzata dei fondamentalisti guidati dal mullā Abdul Ghani Baradar che, con un colpo di spugna in soli dieci giorni, hanno cancellato gli sforzi (e 1.000 miliardi di investimenti) di due decenni di missione internazionale a guida statunitense.
Con la conquista di Kabul il 15 agosto scorso, l’intero paese è precipitato nel caos, stretto nella morsa dei ribelli fondamentalisti che, nel giro di pochi giorni, hanno occupato le principali istituzioni della capitale, issando la bandiera sul palazzo presidenziale e proclamando la rinascita dell’Emirato islamico. Da quel momento è iniziata una caccia all’uomo finalizzata a stanare e punire tutti coloro i quali, negli ultimi 20 anni, hanno collaborato con il governo statunitense e con le diverse agenzie internazionali – NATO in primis – accusati di aver tradito la vera Fede.
In questo redde rationem di massa l’esercito talebano non sta risparmiando niente e nessuno, forti anche dell’ausilio delle nuove tecnologie lasciate sul campo dall’esercito americano. Tra gli strumenti non trasferiti a Washington, oltre a materiale documentale e logistico, risultano essere stati lasciati sul campo anche sofisticate apparecchiature tecnologiche, tra cui riconoscitori facciali e biometrici, usati adesso dai talebani per individuare prontamente e mettere alla berlina i collaborazionisti.
Come riportato da The intercept, diverse apparecchiature portatili di rilevamento dell’identità, noti come HIIDE, sono stati sequestrati la scorsa settimana durante l’offensiva dei talebani, e monta adesso la preoccupazione per i dati sensibili in esse contenuti. I dispositivi HIIDE racchiudono dati biometrici identificativi personali di migliaia di afgani (come scansioni dell’iride e impronte digitali), nonché informazioni biografiche, tutte informazioni raccolte in questi anni e utilizzate dagli americani per rintracciare terroristi e altri insorti.
Ma non solo. Nell’enorme schedario elettronico si trovano custoditi anche i dati biometrici di milioni di afghani che hanno aiutato gli Stati Uniti a qualsiasi titolo, come quelli che hanno assistito agli sforzi diplomatici e che hanno collaborato con i militari USA, dati adesso finiti nelle mani dei ribelli, vero oro colato per attuare con precisione le liste di proscrizione definita dal mullā.
Nella guerra globale al terrore, l’esercito degli Stati Uniti ha impiegato a lungo i dispositivi HIIDE, utilizzando la biometria anche per identificare Osama bin Laden durante il raid del 2011 nel suo nascondiglio pakistano. Secondo la giornalista investigativa Annie Jacobsen, il Pentagono aveva l’obiettivo di raccogliere dati biometrici sull’80% della popolazione afghana per individuare terroristi e criminali.
“In questi anni in Afghanistan abbiamo processato migliaia di persone del posto al giorno, abbiamo dovuto identificare soggetti, cercare giubbotti suicidi, armi, raccogliere di informazioni, ecc.” ha spiegato un appaltatore militare statunitense. “La tecnologia HIIDE è stato utilizzato come strumento di identificazione biometrica per aiutare a riconoscere gli abitanti locali che lavorano per la coalizione” ha continuato la fonte. Tutto questo, adesso, è nelle mani dei fondamentalisti.
La vicenda sottolinea come, tra le forze americane, sia stata sottovalutata ogni previsione di gestione della riservatezza del database, una mancanza assoluta di policy sui dati o su cosa fare nel caso in cui HIIDE fosse caduto nelle mani sbagliate. Cosa che, facile previsione, è effettivamente successa. Con i più sentiti ringraziamenti da parte dei ribelli.