Procedura d’infrazione ancora in bilico. I “nodi” del problema
Di fronte alla nuova “strigliata” di Bruxelles, un avvertimento che si concretizzerà solo alla fine di aprile, l’Italia considera le sue mancanze dei “peccati veniali”, visto l’impegno che, invece, per la Ue sembrerebbe ancora insufficiente nonostante l’attenuazione del cosiddetto effetto “valanga” sul debito.
Pubblicata il 22 Febbraio, la relazione della Commissione Europea, elaborata a norma dell’articolo 126.3 del trattato sul funzionamento dell’Ue che stabilisce la procedura per i disavanzi eccessivi, conferma che l’Italia potrebbe non rientrare nei limiti prefissati entro il 2017.
Il rapporto fra deficit e Pil del nostro Paese potrebbe andare oltre il valore di riferimento del 3% e il rapporto debito pubblico/Pil supererà quasi certamente la soglia del 60%, dopo aver registrato il 132,3% nel 2015. Proprio al 2015 risalirebbe il problema della conformità alla regola del debito, che secondo il documento programmatico di bilancio (basato ancora su proiezioni e non su dati effettivi) non sarà rispettata né nel 2016 né nel 2017, seppur con qualche apprezzabile miglioramento considerato dalla Commissione. Quest’ultima richiede pertanto che il rapporto debito/PIL diminuisca di almeno 0,2 punti percentuali. Secondo l’Italia, lo scostamento è minimo considerando le circostanze occasionali che hanno investito il Paese, fra cui le spese ingenti destinate alla ricostruzione delle aree terremotate.
Dunque, seguendo i criteri di valutazione di conformità con il criterio del debito e considerando i fattori significativi per stabilirli, le condizioni macroeconomiche italiane sono in fase di miglioramento, ma ancora troppo sfavorevoli. Inoltre, sono soprattutto le “annose carenze strutturali” sulle riforme e il retaggio della crisi a pesare sulla ripresa economica.
Disoccupazione giovanile, carenze nella pubblica amministrazione, lentezza nei procedimenti giudiziari, difficoltà in ambiente imprenditoriale: questa serie di problematiche strettamente legate all’incertezza politica – come ha confermato Confindustria lo scorso 23 Febbraio – sono alla base della scarsa crescita italiana nettamente inferiore rispetto alla media della zona euro (1,2% annui).