Le elezioni Regionali sono ormai alle spalle: il Pd ha stappato il lambrusco, il M5S si è perso tra coltelli e rose (con le spine, ça va sans dire) e Italia Viva ha scelto di godersi spettacolo e pop corn. Ma la partita da giocare resta difficilissima, tra tanti fronti aperti e poche risorse e tempo per chiuderli
Archiviate ansie e timori legate alle elezioni regionali e digerite le dovute analisi di voto, il Conte Bis entra di fatto in quella che è stata definita a più riprese “fase 2”.
A stuzzicare un po’ – ma senza svegliarla realmente – l’onestà intellettuale, le forze politiche, riunitesi in un Esecutivo con il solo elemento in comune di “fermare Salvini”, hanno passato i primi mesi dell’esperienza di Governo a prendersi le misure a vicenda navigando a braccio.
Una difficile finanziaria, aggravata dall’imperativo di scongiurare l’aumento delle aliquote IVA con annesse scaramucce e bandierine da piantare o levare su questo o quell’altro provvedimento, hanno reso la prima tranche una fase zero più che una fase uno.
Ad ogni modo, licenziata la Legge di Bilancio 2020, era chiaro a tutti che il grosso scoglio da superare per l’Esecutivo fossero le elezioni regionali in Emilia Romagna (non ce ne voglia la Calabria ma l’esito della tornata elettorale era decisamente più scontato).
Pareva ben più arduo invece il risultato (che ha poi premiato il governatore uscente Bonaccini, non il governo nazionale) in quella che è da sempre la roccaforte rossa.
Una partita che le forze di governo hanno giocato in ordine sparso con esiti altrettanto variopinti.
Ora, con il Pd che ha potuto stappare il lambrusco sull’onda nostalgica di feste dell’Unità d’antan; il Movimento 5 Stelle perso tra coltelli e rose – o meglio le loro spine – e Italia Viva che ha invece preferito gustare spettacolo e pop corn, la resa dei conti con Salvini e il centrodestra è scongiurata o se non altro rimandata. (Mentre i diritti d’autore a Ligabue son da pagare cash).
Non è comunque il momento per dormire sugli allori, soprattutto per un Esecutivo che ha l’obiettivo di durare fino a fine legislatura ed eleggere il successore di Mattarella al Quirinale.
I fronti aperti sono però molti, le risorse poche e le differenze di posizioni tante. Andiamo con ordine.
Post elezioni emiliano-romagnole il Pd ha potuto gonfiare il petto, schiacciando sull’acceleratore del decreto legge attuativo per distribuire i famosi 3 miliardi di euro destinati al taglio del cuneo fiscale sul lavoro dipendente.
Salvo ulteriori modifiche si tratterà di un’evoluzione di quello che nella vulgata è sempre stato definito “Bonus Renzi”, con una platea più ampia, in particolare verso i redditi tra i 25 mila e i 40 mila euro, che formano l’ossatura dei contribuenti e che da luglio vedranno qualche decina di euro in più in busta paga. Non proprio la spinta che serve ma almeno è un primo passo.
Che poi, si sa, l’Irpef, prima tassa per gettito nelle casse dello stato è un po’ l’imposta dei paradossi e come ha spiegato l’Osservatorio di Carlo Cottarelli negli scorsi giorni, servirebbe un taglio del cuneo di circa 9miliardi di euro per allinearci agli altri Paesi europei e di addirittura 23 miliardi di euro per entrare nella top ten del Vecchio Continente.
Fantascienza, non ci sono le risorse.
Ma intanto, dopo la “vittoria” in Emilia Romagna, i dossier sul tavolo del Governo sembrano entrare davvero in una nuova fase e, “discontinuità” è ora più che mai gridato a gran voce dagli esponenti del Pd.
Che la riforma dell’Irpef sia la prossima grande partita pare molto chiaro, così come è altrettanto cristallino che ognuno provi a dire la sia.
Il titolare del Mef, Roberto Gualtieri, vorrebbe una riforma complessiva del sistema, declinata in tre punti chiave: semplificazione, equità e progressività. Nei pensieri più o meno reconditi da uomo di sinistra da prima Repubblica c’è anche l’idea di una patrimoniale ma il senso di responsabilità per il ruolo delicato – per adesso – prevale.
In una convergenza inedita tra Leu e Italia Viva (che suona un po’ come se nel Pci gli Ingraiani fossero andati a braccetto con i Miglioristi di Napolitano) si propone uno strumento unico di agevolazioni riassunto nel cosiddetto “family act” mentre il M5S prova a giocarla semplice con l’idea di tre aliquote e un coefficiente familiare.
Si prevedono dunque lunghe discussioni da qui ad aprile, momento indicato per confezionare la legge delega che dovrebbe guidare la riforma. Quel che ancora tutti sanno ma nessuno dice è che sulla manovra 2021 peseranno comunque altri 20miliardi circa di clausole IVA e, senza un lavoro sulle tax expenditures e una lotta serrata all’evasione, che nell’ultima fotografia della Guardia di Finanza raggiunge 211 miliardi di euro, non si può parlare di riforma fiscale.
In tema di riforme Nunzia Catalfo, a capo del dicastero del lavoro, vorrebbe una revisione del sistema pensionistico strutturale, pensando ad alternative a Quota 100 improntate sulla flessibilità e comunque necessarie per cancellare la Legge Fornero. Oltre ai dissidi interni alla maggioranza, la ministra dovrà vedersela con le parti sociali, in un match da chiudere entro fine marzo.
C’è poi da trovare una correzione che non causi altri mal di pancia da indigestioni di vetro ad altri due temi cari ai pentastellati: il Reddito di Cittadinanza, da rivedere anche con le parti sociali e il Decreto Dignità, nato con il nobile obiettivo di contrastare il precariato ma finito per creare ancor più turn over che stabilità, per via degli aumenti dei costi dei rinnovi.
Infine la questione, sulla quale l’opinione pubblica è un po’ più che avvelenata, che riguarda Atlantia – Autostrade. Il M5S continua a martellare sul togliere la concessione senza se e senza ma; per Italia Viva rimuovere Atlantia senza alternative è una follia mentre il Pd non sa/non risponde e prova a mediare.
I vertici di Atlantia nel frattempo si godono il titolo in borsa schizzato alle stelle, chiaro sintomo di una ripresa del dialogo col Governo, e annunciano investimenti per 7,5 miliardi di euro e oltre mille assunzioni; proclami dal profumo di promessa elettorale.
Tanti temi e altrettanto delicati da chiudere prima della partita cruciale del Def che si giocherà in aprile. Impossibile quindi dare vita a lungaggini e a discussioni che portino a faide fratricida. A meno di volersi trovare a pensare, con la bella stagione che incombe con tutte le sue belle scadenze non rispettate, “che fretta c’era, maledetta primavera”.