Orfini presidente; Pollastrini (Orlando) e De Santis (Emiliano), vice. Ancora Renzi: “Lavoro, casa e mamme”
di LabParlamento
A cinque mesi esatti dalle dimissioni da premier, Matteo Renzi si riprende ufficialmente il partito acclamato, ieri, dall’assemblea del Pd dove si erano dati appuntamento i mille delegati suddivisi in base all’esito delle primarie (700 per l’ex segretario, 69,8% del consenso; 212 per Andrea Orlando, 20%; 88 per Michele Emiliano, 10,8%).
Matteo Orfini, come nelle ultime attese della vigilia, è stato eletto presidente: tutti favorevoli tranne 16 no e 60 astenuti. Conferma anche per Francesco Bonifazi tesoriere, con 11 astenuti. Barbara Pollastrini (Mozione Orlando) e Domenico De Santis (Emiliano) sono i nuovi vicepresidenti. Sulla riconferma di Orfini si era espresso in senso contrario Andrea Orlando, che aveva auspicato “un passo indietro rispetto alla scelta compiuta nella prima segreteria: ci vorrebbe un presidente di garanzia” (alla fine è comunque rientrata, almeno in parte, l’astensione dei delegati orlandiani). Per quanto riguarda la vicesegreteria, anche in questo caso tutto come previsto, la scelta era caduta da tempo su Maurizio Martina (votato dall’assemblea, con 7 astenuti). Renzi, che metterà mano nei prossimi giorni alla Segreteria, avrà una maggioranza schiacciante anche in Direzione: dei 140 membri, 84 saranno renziani, 12 di Emiliano, 24 di Orlando, 20 scelti dal segretario, più i membri di diritto (governo, ex premier ed ex segretari).
Nel suo discorso, le premesse sono andate alla “straordinaria esperienza di popolo delle primarie” e “alla necessità di un impegno tra di noi per restare uniti ponendo fine alle contrapposizioni interne”. Per poi passare ai temi più delicati: il Governo, la legge elettorale, il programma.
Sul primo punto “nessuno metterà in discussione il Governo di Paolo Gentiloni. Lo diciamo da cinque mesi, lo diremo fino a fine legislatura. Se questo è chiaro vorrei rafforzarlo: sono contento del lavoro del Governo quando mette soldi sulle periferie, sulla povertà. Questo governo non sta facendo opera di discontinuità, ma continua un lavoro che noi abbiamo lasciato a mezzo”.
Legge elettorale: “Una parola di verità, con deferenza al presidente Mattarella. La legge è un capitolo fondamentale per la tenuta istituzionale del Paese, sul quale il Pd non farà da capro espiatorio (….). Non ci facciamo prendere in giro dalle altre forze politiche. Chi ha fatto la campagna per il no ha detto agli italiani che dopo il referendum in sei mesi avrebbe rimesso a posto tutto. Vi hanno preso in giro, hanno portato solo il Paese nella palude. Hanno avuto ragione solo i cittadini che ci hanno detto no, non i partiti. Quelle forze politiche oggi hanno una responsabilità davanti al Paese: abbiamo proposto l’Italicum, il Mattarellum, il sistema tedesco. Il Pd è pronto ad accogliere qualsiasi proposta decente. Ma non a condividere le responsabilità di chi ci ha portato allo stallo”.
A questo punto Renzi ha messo in fila tre parole come punti di riferimento programmatico. Al primo posto il Lavoro (“parola che caratterizza il Pd. Dirlo significa marcare una differenza rispetto a quelli che hanno raccontato che il futuro è di assistenzialismo e sussidi”). La seconda è Casa (“il luogo dove vivi, ma anche i musei. Io mi vergognerei dei tagli alla cultura non del bonus cultura. Casa è anche legittima difesa: nessuno di noi vuole privatizzare l’uso della forza” …”). Infine, le mamme (“abbiamo portato le mamme a occuparsi di politica. Ora la politica si occupi di loro. E’ la questione politica del nostro tempo, che nel 2017 la maternità possa essere considerata un ostacolo è assurdo”).
A seguire, l’intervento di Andrea Orlando, per il quale, nonostante “un Congresso andato bene, non per me ma per il Pd, non tutti i nodi sono stati sciolti”. A cominciare dalla lettura dell’esito del referendum per arrivare ai risultati del Jobs Act fino ad un duro attacco perché “in larga parte del Paese noi abbiamo assunto le peggiori prassi della politica: il clientelismo, il nepotismo. Per chiudere con le alleanze future: “Tra Berlusconi e Bersani continuo a preferire Bersani. Il Pd senza la costruzione del centrosinistra è condannato a un rapporto privilegiato con Berlusconi che lo metterà in grandissima difficoltà”. E la legge elettorale: “Perchè non proviamo a mettere alcune cose in fila, tipo premio di governabilità, collegi, superamento dei capilista bloccati, e proviamo a vedere chi si confronta con noi su questo?”.
Tutto sommato aperto al dialogo più di quanto si pensasse, pur restando all’opposizione, Michele Emiliano. “ Farò quello che ho sempre fatto: sarò coerente e leale con i valori e i principi del partito cui appartengo, con me stesso, con tutte le persone che mi hanno sostenuto”. Ma “un nuovo fallimento avrebbe proporzioni gravissime”. Per poi concludere con un inatteso “Hasta la victoria, signor segretario. Non aspettiamo altro che vederti consapevole del ruolo sovrumano che ricopri”.
Per Renzi, insomma, missione compiuta. Adesso, però, arriva il bello.