Donne più svantaggiate per qualità dell’impiego e pensioni. Rimane bassa la rappresentanza nei territori. Audizione di Giorgio Alleva alla Camera
Si è conclusa poco fa l’audizione del presidente dell’Istat Giorgio Alleva in Commissione Affari costituzionali della Camera, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle politiche in materia di parità tra donne e uomini.
I dati presentati da Alleva prendono in considerazione i livelli di istruzione e di accesso al mercato del lavoro, la presenza delle donne nei vari settori dell’economia così come negli organi decisionali e politici, e affrontano anche, ovviamente, il tema delle pensioni.
Per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile, questo è superiore quando le donne sono in possesso di un titolo di studio di primo livello, e, ancora di più in caso di secondo livello, attestandosi su numeri simili a quelli maschili. Il differenziale di genere a favore maschile è invece più accentuato nel caso di donne diplomate considerate meno protette. Oltre all’incidenza femminile nei settori dell’istruzione e della sanità, le donne si scoprono nuove imprenditrici nei servizi tecnologici e di mercato ad alta conoscenza più di quanto non facciano gli uomini, trattandosi di settori più specifici per i quali è richiesto il titolo di studio.
In ambito di compensi, al differenziale di genere tra reddito pro-capite medio maschile (19.000€ circa) e femminile (14.000€ circa), corrisponde purtroppo un altrettanto importante divario quando si tratta di pensioni e di povertà assoluta, specialmente in casi di famiglie monoparentali. Come riportato da Alleva “tra le donne, 16 anziane su 100 non ricevono alcuna forma di pensione (tra gli uomini solo 3 su 100)“; questo, nonostante la maggioranza dei pensionati siano donne (8,5 milioni), che percepiscono mensilmente un importo di 1.137 euro contro i 1.592 degli uomini, per un totale di 455 euro in meno. In merito poi al tema della povertà assoluta, emerge che “l’85% delle famiglie monoparentali in condizione di povertà assoluta ha come persona di riferimento una donna“. Il Presidente dell’Istituto di statistica ha spiegato che per questa tipologia famigliare, “l’incidenza della povertà assoluta risulta in crescita, passando dal 6,7% del 2015 all’8,1% del 2016”. Peggiori condizioni sono osservate generalmente in famiglie con almeno un figlio minore e, ancor di più, in nuclei con donne straniere, dal momento che una su quattro si trova in condizioni di povertà.
Non solo, l’Istat ha anche rilevato come le donne siano svantaggiate in termini di qualità del lavoro; in particolare, le occupate con un livello di istruzione più alto di quello maggiormente richiesto per il lavoro svolto sono il 25,7% contro il 22,4% gli uomini, e la quota di lavoro part time involontario femminile è quasi tripla di quella maschile.
Al contrario, un dato in crescita è quello della presenza femminile negli organi decisionali (CdA di società quotate in borsa e dei Board delle Authority nazionali), così come nel Parlamento nazionale (30,7%) e in quello europeo. Il problema però si ripresenta non appena ci si avventura nei territori. Nei Consigli regionali, infatti, la presenza femminile si attesta solo al 18% e il numero di sindaci donne è appena di 1000 su più di 8000 Comuni. Questa distribuzione potrebbe essere frutto di un meccanismo elettorale: se la legge vigente per le Politiche del 2013 prevedeva liste bloccate, ciò non vale per le Regioni, dove con lo strumento delle preferenze la presenza maschile risulta ancora preponderante (82%).
Se è vero che i cambiamenti culturali, l’innalzamento dei livelli di istruzione e la terziarizzazione dell’economia stanno diminuendo – anche se lentamente – il differenziale di genere tra uomini e donne, al Nord e al Sud ciò sta avvenendo a due velocità, così come sta avvenendo a due velocità tra l’Italia e il resto dell’Europa, specie perché, in termini di partecipazione al mondo del lavoro e livello di istruzione, il nostro Paese non ha ancora recuperato i livelli pre-crisi.
Interessante l’enfasi posta dai rappresentanti dell’Istat sullo sviluppo di statistiche di genere in ambito economico, che prendano in considerazione da un lato le differenze tra imprese a conduzione maschile e femminile in termini di competitività, produttività e sostenibilità, e dall’altro il valore economico del lavoro femminile non retribuito (ad esempio, il part-time involontario).
Nonostante i dati presentati dall’Istituto di statistica evidenzino come il differenziale di genere tra uomini e donne in Italia sia di fatto un fenomeno ancora pronunciato, il presidente Alleva ha voluto sottolineare che di volta in volta si registrano leggeri cambiamenti in una direzione che ha comunque definito “positiva”.
L’evoluzione della legislazione in materia, da ora in avanti, avrà sicuramente un notevole impatto sui dati.