Consultazioni lampo del Capo dello Stato, con il Centrodestra sull’orlo della scissione e mentre si susseguono i nomi per un futuro incarico nell’eventuale Governo del Presidente
La settimana più lunga della Repubblica è appena iniziata. A più di due mesi dalla tornata elettorale che ha definito il nuovo scacchiere parlamentare, il gioco dell’oca istituzionale riparte dal via.
Oggi il Capo dello Stato Sergio Mattarella riceverà tutte le forze politiche per verificare l’esistenza di altre prospettive di maggioranza di governo. Tale ultima spiaggia arriva dopo l’infruttuoso tentativo di un esecutivo 5 Stelle-Partito Democratico (esplorazione presidente della Camera), e prima ancora Lega-5 Stelle (presidente del Senato).
Sul tavolo c’è da ieri, con l’annuncio del leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, a Lucia Annunziata in “Mezz’ora”, la proposta di un premier “terzo” scelto con la Lega però, assieme alla conferma dell’esclusione dall’eventuale esecutivo di Silvio Berlusconi e Forza Italia, e al diniego del voto di fiducia a qualunque Governo “tecnico”. Novità che ha rimesso la palla nel campo del Centrodestra il cui vertice di ieri sera non sembra aver portato alcun chiarimento: Matteo Salvini a favore di un Governo politico; FI e FdI per non restare esclusi rivendicando l’unità della coalizione (la prima disposta anche ad appoggiare un esecutivo proposto dal Capo dello Stato pur di evitare il voto anticipato che, invece, non sembra spaventare Lega e M5S). Stamane, forse, nuovo vertice subito prima delle consultazioni per un tentativo di accordo al fotofinish.
In ogni caso, in attesa di eventi dell’ultimo istante, tra proposte di contratti alla tedesca, veti incrociati e paventati ritorni alle urne, l’ultima carta che il Presidente Sergio Mattarella proverà a giocare è certamente quella di verificare l’esistenza di una maggioranza attorno ad un nome su cui far convergere tutte le forze politiche.
Balneare, di transizione, tecnico, di scopo, a termine, del Presidente, di larghe intese, neutrale, di tregua. C’è chi ha ipotizzato anche quello «del panettone», un esecutivo capace di traguardare la legislatura sino a fine anno per poi tornare alle urne in concomitanza con le elezioni europee del maggio 2019. Ognuno lo chiama come meglio crede, ma la sostanza non cambia: uscire dallo stallo e dare una guida al Paese, riuscendo a formare un governo che abbia una maggioranza in Parlamento.
Dopo ormai 64 giorni di tira e molla la palla passa definitivamente nella metà campo del Quirinale, e le ipotesi sul possibile premier fioriscono come margherite in primavera.
Il vuoto governativo più lungo della storia repubblicana risale al 1992 ed è legato alla difficile formazione del primo esecutivo di Giuliano Amato, che nacque 82 giorni dopo la chiusura delle urne. In molti sono pronti a scommettere che questa volta si potrebbe eguagliare il triste record.
Per uscire dall’empasse sono pronti nomi di alto profilo: il mantra più ricorrente è quello del Presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno, voluto (tra le polemiche) nel 2016 dall’allora premier Matteo Renzi a capo del massimo organo di giustizia amministrativa, e che con Matterella condivide la città natale e di cui fu capo di Gabinetto quando l’attuale Capo dello Stato fu ministro dell’Istruzione. Un uomo di assoluta fiducia, dunque, e di chiaro riferimento presidenziale.
Sempre dalle alte magistrature si affaccia il nome di Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e conterraneo di Luigi Di Maio. Sempre dal Palazzo della Consulta potrebbe arrivare l’attuale e presidente della Corte, il magistrato romano Giorgio Lattanzi, nome ritenuto di alta garanzia istituzionale. Di spessore anche la candidatura di Carlo Cottarelli, già Commissario alla spending review con Enrico Letta, confermato da Matteo Renzi e poi in volo verso il Fondo Monetario Internazionale. Per le sue proverbiali «mani di forbice» non dispiacerebbe al mondo grillino, da sempre concentrato sullo sfrondamento della spesa pubblica.
Non pare tramonta neanche la possibilità, anzi acquista sempre più forza, dell’affacciarsi di una personalità di alto profilo economico così da non dispiacere ai mercati. Negli ultimi giorni si fa sempre più insistentemente il nome dell’ ex rettore dell’Università Bocconi Guido Tabellini (gradito alla Lega per via delle sue posizioni contro le politiche di austerità europea).
Meno chance per Roberto Perotti, anche lui economista bocconiano il cui nome circola negli ambienti del Movimento 5 Stelle insieme a quello di Luigi Zingales, professore all’Università di Chicago Booth School of Business. Sempre in ambito accademico in pole anche l’attuale rettore della Luiss ed ex ministro alla Giustizia Paola Severino.
Ma, a dispetto dei nomi rinomati, la strada per il Colle è in salita. Luigi Di Maio, come detto, ha già chiarito che considererebbe un «tradimento» degli elettori qualsiasi ipotesi tecnica. Meglio tornare subito alle urne. Gli fa eco Matteo Salvini, che ha escluso qualsiasi possibilità di governi tecnici «alla Mario Monti». Prima che fosse intavolata da Di Maio l’ultima proposta dei Cinque Stelle, per il leader della Lega era meglio un esecutivo provvisorio con una scadenza ben precisa e compiti definiti, magari fino a fine anno «per fare poche cose»: tra le priorità indicate dai padani la legge elettorale e quella di bilancio in autunno.
Tuttavia, uno spiraglio per la formazione di un nuovo esecutivo bipartisan potrebbe essere offerto dalle recenti modifiche al regolamento del Senato e, in particolare, sulla valenza del voto di astensione, non più conteggiato come contrario. Questo potrebbe significare la possibilità della nascita di un governo «degli astenuti» (chiamarlo della «non sfiducia» sembrerebbe trop âgé), mettendo al riparo Lega e 5 Stelle da un formale imprimatur alla nuova compagine governativa proposta da Mattarella. E non è neanche detto che un esperimento del genere abbia vita corta, essendo un’analoga esperienza durata quasi due anni. Era il terzo Governo Andreotti, il primo di «solidarietà nazionale», un monocolore DC retto sull’astensione comunista e socialista. Correva l’anno 1976. Forse la prima Repubblica, nei fatti, non è mai finita.