Il nuovo guardasigilli Nordio ha dimostrato di non avere peli sulla lingua quando il 6 dicembre (2022) ha attaccato l’uso delle audiovideointercettazioni (AVI) nelle indagini penali. Dichiarando che si tratta di “uno strumento micidiale di delegittimazione personale” e – per fugare eventuali fraintendimenti – ha inoltre sostenuto che “la loro diffusione selezionata e pilotata rappresenta anche un pericolo per la riservatezza e l’onore delle persone”.
“Proporremo una profonda revisione”, ha proseguito il ministro di Grazia e Giustizia, promettendo “una vigilanza rigorosa su ogni diffusione delle intercettazioni che sia arbitraria e impropria”. Ha quindi ricordato che “hanno un costo elevatissimo, sono decise sulla base di sospetti e non concludono nulla. Non si è mai vista una condanna solo sulla base delle intercettazioni. Il loro numero è di gran lunga superiore alla media europea e anglosassone. Dovrebbero essere un mezzo di ricerca della prova, e invece sono esse stesse la prova”. Ha poi messo in guardia magistrati e inquirenti dal farne un uso distorto: “Ogni qualvolta un domani usciranno violazioni del segreto istruttorio in tema di intercettazioni l’ispezione sarà immediata e rigorosa. Non è ammissibile che le conversazioni che riguardano la vita privata di cittadini che non sono nemmeno indagati finiscano sui giornali”.
Ma quella di Nordio non è l’unica voce che esprime dubbi nei confronti delle indagini che ricorrono con troppa insistenza alle AVI. Fu lo stesso Gherardo Colombo (intervista pubblicata su “Il Dubbio” del 26.06.19) che espresse dubbi analoghi a quelli dell’attuale ministro di Grazia e Giustizia: “Tali metodi richiamano gli strumenti utilizzati dalla Stasi nella Germania Est nel celebre film Le vite degli altri”. Nel ribadire che il “diritto alla riservatezza è costituzionalmente garantito” e non se ne può fare scempio, l’ex magistrato di Mani pulitemotiva puntualmente le sue perplessità: “Non dimentichiamo che si tratta di forme di controllo assai incerte perché fotografano, filmano o registrano dei momenti completamente avulsi dal resto. Quando facevo il magistrato affrontavo le intercettazioni con grandissima cautela perché un conto è leggere e un conto è sentire”.
Infine, Colombo chiude la sua riflessione con un esplicito riferimento critico alle AVI utilizzate nelle indagini per presunti maltrattamenti a scuola: “Pensiamo alle telecamere negli asili. In quel caso sembra diventi più importante acquisire la prova rispetto all’esigenza di tutelare le persone. La telecamera filma, per dire, per tre mesi i maltrattamenti verso i bambini e solo dopo tre mesi si fa la notizia di reato. Così viene privilegiata la repressione rispetto alla prevenzione. La ricerca della prova, in questo modo, confligge con la prevenzione del maltrattamento”.
Queste sono solo alcune delle criticità delle AVI, ma se due persone come Nordio e Colombo – politicamente distanti tra loro seppure entrambi validi magistrati – concordano sull’introduzione di correttivi all’uso delle AVI nelle indagini, non va sprecato ulteriore tempo nella difesa e garanzia del cittadino. Continuando le riflessioni di Colombo sulla scuola nella caccia a presunte maestre violente, ricordiamo che oltre a inquirenti non-addetti-ai-lavori, pesca a strascico ad libitum con telecamere nascoste, decontestualizzazione, selezione avversa delle clip, drammatizzazione delle trascrizioni, arbitrarietà nello stabilire l’abitualità di un comportamento, gogna mediatica etc, vi sono anche gli smisurati costi (in personale e locazione di tecnologie) e soprattutto l’intempestività dell’intervento a tutela dei minori.
La semplice soluzione al problema consiste nel restituire al dirigente scolastico (che tra l’altro è competente in materia pedagogica ed educativa a differenza degli inquirenti) il suo ruolo di controllo, gestione e tutela degli insegnanti e dell’utenza. L’Autorità Giudiziaria, spesso allertata da genitori, deve invece sottrarsi alla tentazione di cortocircuitare il dirigente scolastico, rimettendo al medesimo la questione per la sua capacità d’intervento immediato. Il preside dispone, infatti, di molti strumenti per gestire simili problematiche a garanzia dell’intera comunità scolastica: l’affiancamento del docente in difficoltà, i controlli e le ispezioni in classe, l’accertamento medico d’ufficio, la sospensione cautelare, i provvedimenti disciplinari etc. Alcuni giudici, inoltre, si sono accorti che non esiste confronto tra maltrattamenti in famiglia e maltrattamenti a scuola: i primi sono assai più gravi (ferimenti, lesioni, omicidi) mentre i secondi “non integrano la soglia del penalmente rilevante ma esauriscono la loro censurabilità con un eventuale provvedimento disciplinare”.
Che in ambito scolastico l’eventuale condotta maltrattante sia materia piuttosto controversa e dibattuta lo dimostra la stessa Corte di Cassazione che finora ha saputo redigere solamente la “lista nera” dei mezzi di correzione (pacche, scappellotti, schiaffi, strattonamenti, pizzicotti, urla, umiliazioni, isolamenti, castighi etc), mentre non si è cimentata (azzardata?) a stilare la “lista bianca” dei metodi correttivi a disposizione dell’insegnante. Il disorientamento per maestre e operatrici del settore è l’ovvia conseguenza.
Tempestività, economicità, competenza sono le tre qualità chiave che possiede l’intervento del dirigente scolastico capace che ha l’obbligo di tutelare la salute dei docenti nonché l’incolumità dell’utenza. Il preside è altresì chiamato a svolgere il suo lavoro senza titubanze, indugi e ritardi. L’intervento della Autorità Giudiziaria invece non può produrre alcun apporto positivo in un settore che le è estraneo, dove le infrazioni sono di tutt’altra natura e portata, rispetto – come detto – ai maltrattamenti in famiglia: non ha mai senso sparare a una mosca col cannone. Meglio evitare in futuro procedimenti penali con accuse ai limiti del ridicolo e poco credibili (“La maestra intimidisce il bimbo dicendogli: conto fino a tre!”; “La suora dell’asilo bestemmia”; “Il bimbo ha subito sequestro e abbandono di minore” etc) o – peggio ancora – marescialli che si improvvisano medici specialisti azzardando improbabili e complesse diagnosi psichiatriche (“La maestra evidenzia un narcisistico egocentrismo”).
Non dobbiamo inoltre dimenticare che lo strano fenomeno dei presunti maltrattamenti a scuola è incomprensibilmente ed esclusivamente italiano, non di certo perché le “streghe” esistono solo nel Belpaese, oppure perché vi è una specifica ragione genetica. Ciò avviene proprio perché le AVI sono “uno strumento d’indagine micidiale” e “si tratta di forme di controllo assai incerte”, per dirla rispettivamente con Nordio e Colombo. Va da sé, inoltre, che nessun giudice visionerà mai per intero le centinaia di ore di AVI registrate, rendendo ancora più fragile la ricostruzione della realtà: si limiterà piuttosto a vedere i progressivi proposti dall’accusa (in media lo 0,1% del registrato) trascurando quanto di buono occorso nel restante 99,9%.
Nei Paesi occidentali viene siglato un protocollo d’intesa tra dicasteri competenti (MGG e MIM) in cui il primo interviene solamente se il dirigente scolastico, che ha l’onere di agire tempestivamente e in prima battuta, non riesce a risolvere la situazione. Riusciremo anche noi ad organizzarci in modo analogo? Giungeremo mai a comprendere questo assurdo fenomeno italico, che raddoppia di anno in anno (ultime rilevazioni 2018 vs 2019 perché nel 2020 e 2021 c’era la DAD), risolvendolo una volta per tutte col buon senso (cioè restituendo il primato di un tempestivo intervento ai dirigenti scolastici) ed evitando di ingolfare i tribunali e sprecare risorse pubbliche? Ma ciò che più urge consiste nel restituire ora e subito dignità, soldi e salute a quelle maestre che hanno operato con impegno e generosità, per ritrovarsi infine accusate di misfatti mai commessi ma documentati con “strumenti d’indagine micidiali” cui segue la decontestualizzazione, la selezione e la frammentazione dei filmati. L’intero procedimento, gestito oggi da non-addetti-ai-lavori finisce col conseguire il risultato opposto a quello sperato: non ricostruisce la realtà e fa a pezzi la verità.
Sapranno i titolari dei dicasteri di Grazia e Giustizia (lo stesso Nordio che ha denunciato le storture delle AVI) e dell’Istruzione e Merito (Valditara che può restituire serenità alla categoria professionale delle maestre) limitare lo strapotere e i danni causati da siffatte indagini a partire dalla scuola?