Il Senato e l’Università di Pavia insieme per combattere il burocratese
È ora di mettere fine a frasi come queste: “È altresì di estrema importanza tenere presenti le seguenti considerazioni”, o “Dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità di porre in essere”.
A pronunciare queste parole fu il Primo Ministro britannico Winston Churchill, che nel 1940 chiese al proprio Governo di eliminare fumo e verbosità dai testi giuridici, suggerendogli di preferire frasi brevi ed espressive, che facilitano non solo la lettura e la comprensione, ma anche il pensiero.
Più recentemente il dott. Ciro Amendola, meticoloso burocrate uscito dalla penna del costituzionalista-romanziere Alfonso Celotto, ha avviato una grande operazione di semplificazione del burocratese e si è divertito a raccogliere e a spiegare le sigle più astruse della Pubblica Amministrazione.
Va nella stessa direzione il convegno organizzato lo scorso 14 aprile al Senato della Repubblica per sancire l’avvio di un progetto di collaborazione istituzionale e di formazione sul linguaggio giuridico e la scrittura delle leggi. “Le parole giuste. Scrittura tecnica e cultura linguistica per il buon funzionamento della pubblica amministrazione e della giustizia” ha visto gli interventi, tra gli altri, del Presidente del Senato Pietro Grasso, del Rettore dell’Università di Pavia Fabio Rugge, della Presidente della Commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro e del Presidente onorario dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini.
Lo scopo della Collaborazione tra il Senato e l’Università di Pavia è quello di coniugare l’attività di redazione legislativa dei funzionari di Palazzo Madama con quella di revisione dei testi grazie alle competenze multidisciplinari dell’Ateneo pavese. Tutto ciò per dare vita a un vero e proprio “Master universitario sul linguaggio del diritto”, capace di concorrere ad una migliore qualità dei testi giuridici e a una maggiore tutela dei diritti dei cittadini.
Nel suo discorso di apertura, Pietro Grasso ha ricordato che “scrivere le leggi usando le parole giuste, significa fare del corpus delle norme uno spazio di comunicazione tra istituzioni e cittadini e coinvolgere attivamente questi ultimi nella vita dello Stato. Significa permettere loro di riconoscersi nello Stato, di poter pensare e dire, per citare Piero Calamandrei, che lo Stato siamo noi. Scrivere le leggi usando parole imprecise ed equivoche, di contro, significa creare distanza tra i cittadini e le istituzioni e in quella distanza è facile che si insinui la sensazione che anche la giustizia e la legge siano tra loro distanti”.
Risorse utili: le Guide di Stile dedicate alla pubblica amministrazione del sito “Il Mestiere di Scrivere” di Luisa Carrada