di Francesco Scolaro
La strada delle riforme in Italia è, tradizionalmente, in salita e piena di curve pericolose. La politica italiana non è mai stata troppo incline a farle, mentre i dibattiti e le dispute sulle riforme non si contano, soprattutto dagli anni ‘80 in avanti (il celebre «paradosso delle riforme» di cui parla Zagrebelsky: più la politica è incapace di fare le riforme, più sente la necessità di esse).
In Parlamento, da quando il Governo Renzi è entrato in carica (poco più di 100 giorni), sia il DdL di riforma della Costituzione sia il DdL che disegnerà la nuova legge elettorale (sui quali il PD ha faticosamente raggiunto un’intesa con Berlusconi) sono stati prima incardinati come priorità assolute, poi messe in stand-by per lasciare spazio ai più urgenti interventi economici (oltre che per evidenti esigenze di pax elettorale con FI) e adesso, con Renzi forte dello strabiliante risultato elettorale delle europee, sono tornati prepotentemente in pole position con il preciso obiettivo di approvare in prima lettura in Senato il DdL di modifica costituzionale prima della pausa estiva.
La preview dell’accelerazione è stata data dalla decisione del Gruppo PD del Senato di sostituire il Sen. Mineo con il Sen. Zanda nella Commissione che si occupa delle riforme: 14 senatori PD si sono autosospesi dal partito. Segno evidente del fatto che una minoranza interna al PD continua a non essere allineata con il nuovo corso renziano.
Il tempo dirà se il clima ancora teso nei ranghi del PD potrà favorire l’insorgere di problemi e ostacoli in ambito parlamentare, alla luce dei mesi decisivi che si prospettano sia sul lato delle riforme, sia sul lato degli importanti provvedimenti economico-finanziari attesi in Consiglio dei Ministri e che il Governo sta redigendo (tra questi, anche il cosiddetto DL Spalma-incentivi).
Tuttavia, la vera novità è costituita dall’apertura del M5S a Renzi in tema di legge elettorale con la richiesta esplicita di dialogo avanzata da Grillo a Renzi (legittimato, secondo lo stesso Grillo, dall’esito del voto europeo) e la contro-richiesta di Renzi di rendere pubblici i contenuti dell’incontro prevedendo la diretta streaming: vedremo dove porterà questa nuova fase, ma non sembra difficile intravedere una reciproca mossa di scacchi più che una sincera apertura di credito (la legge proposta dal M5S è di impronta proporzionale, diversamente dall’Italicum).
La decisione di Grillo e Casaleggio è frutto (anche) del diffuso malessere interno al movimento. Malessere creatosi all’indomani del deludente risultato delle europee e allargatosi dopo la decisione di formare il gruppo a Bruxelles con il discutibile movimento inglese di Farage.
La nuova fase di dialogo con il M5S aumenta esponenzialmente il potere contrattuale di Renzi: qualora l’apertura di Grillo non si rivelasse un bluff e ci fosse la concreta possibilità di un’intesa sulla legge elettorale, Renzi avrebbe a sua disposizione tre opzioni: consolidare, modificare a proprio vantaggio oppure rompere l’asse con Berlusconi (che quindi rischierebbe di rimanere fuori dalla partita delle riforme). Nel frattempo, Renzi potrebbe lavorare per rinsaldare, a proprio vantaggio, il patto del Nazareno con Berlusconi che, a quel punto, sarebbe cosciente del rischio di diventare ininfluente.
In ogni caso, quindi, questa situazione conferma la centralità pivotale del PD in materia di riforme. Centralità dovuta certamente alla circostanza che vede il PD essere partito di maggioranza relativa in Parlamento, ma anche, e in maniera non trascurabile, alla nuova fase apertasi con la leadership del premier Renzi.