Dibattito sulla tassazione unica per imprese e società. Non mancano le perplessità
Tra i diversi provvedimenti esaminati dalla Commissione Finanze del Senato prima della pausa estiva dei lavori parlamentari, spicca la proposta di Direttiva del Consiglio europeo relativa alla creazione di una base imponibile comune per le imposte sulle società, già licenziata favorevolmente dalla Commissione Politiche Ue nel dicembre 2016, che ha condiviso l’obiettivo di fornire a tutte le realtà commerciali europee un sistema unificato di norme in materia di tasse e gabelle.
La proposta in discussione è parte di un più ambizioso intervento di riforma della fiscalità societaria, pensiero contenuto nel Programma di lavoro della Commissione europea per l’anno 2016. Punto di partenza la presa di coscienza, a livello comunitario, di come le norme vigenti in materia di imposizione fiscale a carico delle società non sono più adatte al contesto attuale. La necessità di adeguare l’approccio tradizionale all’evoluzione dell’economia contemporanea appare una delle priorità di questi tempi non più rinviabile.
Non si può prescindere, infatti, dagli effetti della globalizzazione sull’economia: alta mobilità dei contribuenti e del capitale, con una progressiva e costante crescita del numero di transazioni transfrontaliere e delle strutture finanziarie internazionali. Tutto ciò provoca una sempre maggiore complessità nel calcolo delle imposte dovute, mettendo in evidenza quanto le norme nazionali di tassazione societaria siano lacunose ed inadeguate.
La proposta COM (2016) 685 fa parte di un pacchetto di riforma della tassazione delle imprese, e si colloca come punto finale di un lungo processo di programmazione avvenuto in sede comunitaria. Dall’esito, però, tutt’altro che scontato.
In estrema sintesi, con tale previsione, si tenta di introdurre norme per il calcolo di una base imponibile uguale in tutti gli Stati membri, tassazione sul reddito di impresa oggi esistente in 28 forme diverse. Quando la direttiva verrà approvata, le singole realtà societarie nazionali cesseranno di essere soggette al diritto nazionale, trasferendo la competenza alla normativa europea.
Agli Stati membri, però, sarà comunque riservata l’individuazione di una quota aggiuntiva alla tassazione base, cosa che lascerà liberi i singoli governi di determinare autonomamente l’importo del gettito finale auspicato.
In quest’ottica la proposta CCTB (dall’acronimo Common Corporate Tax Base) disciplina per intero la dichiarazione dei redditi della società, la possibilità di notificazione di errori, il caso di omessa presentazione e la possibilità di presentazione elettronica, rinviando poi a successive decisioni della Commissione la disciplina di ulteriori aspetti inerenti il tema in questione.
Ma ecco le prime perplessità. La proposta in esame conferisce alla Commissione europea il potere di adottare atti delegati per un periodo di tempo indeterminato (una carta bianca sine die), in particolare, sull’individuazione delle tipologie di società a cui si applicherà la normativa e, soprattutto, i soggetti nei confronti dei quali le imposte saranno attive.
Tale indeterminatezza temporale, oltre ad essere di dubbia compatibilità con i Trattati, costituisce un vulnus alle prerogative dei Parlamenti nazionali, cosa che sta creando non poche perplessità anche fuori dai confini nazionali. Diversi paesi, come il Lussemburgo, Svezia e Irlanda hanno teso a precisare come la politica fiscale costituisca un saldo elemento fondamentale della sovranità nazionale e, altri invece, hanno espresso viva preoccupazione sull’incidenza che le misure in via di adozione potrebbero avere sulle proprie economie nazionali.
Comunque andrà a finire, questo provvedimento getta tristi presagi sulla piega che assumeranno le future discussioni in materia finanziaria, nate dalle recenti proposte del presidente della Commissione, Jean Claude Junker in relazione alla creazione di un ministro del Tesoro dell’Unione e di un sistema di garanzia unico sui depositi bancari.