L’accelerazione decisa dal Governo rivela il corto respiro della riforma. Renzi si impone su Gentiloni
Con 307 sì, 90 no e 9 astenuti l’Aula della Camera ha dato l’ok al primo dei tre voti di fiducia previsti sulla legge elettorale. Dopo la decisione del Governo di blindare la riforma, arrivata nella giornata di ieri, l’iter del “Rosatellum 2.0” a Montecitorio si concluderà (a meno di imprevisti) tra circa 24 ore, con conseguente passaggio del testo al Senato, dove l’asse Pd-Forza Italia-Lega-Ap punta a chiudere la partita entro ottobre.
Sebbene l’accelerazione impressa dall’Esecutivo punti a mettere al sicuro l’ultimo tentativo di modificare il sistema di elezione del Parlamento prima della fine della Legislatura, è tuttavia innegabile che porre la questione di fiducia sulla legge elettorale (a maggior ragione se si pensa che la stessa scelta era stata compiuta, nel 2015, al momento di varare l’Italicum) carica il Ddl in discussione di un vulnus procedurale, che si va ad aggiungere ai vizi politici di cui si è discusso nei giorni scorsi.
Più precisamente, la volontà di arrivare alla caduta di ogni tipo di emendamento tradisce una diffidenza di fondo dei leader sostenitori del “Rosatellum 2.0” nei confronti dei propri deputati e senatori, come ad ammettere la sostanziale ingovernabilità degli attuali componenti delle Camere. È vero che quanto accaduto nel giugno scorso con il proporzionale alla tedesca non permetteva di guardare serenamente ai voti segreti sulla nuova proposta di riforma, ma se una legge elettorale non è in grado di mietere consensi tra i parlamentari come si può pretendere che questa ispiri fiducia nei cittadini? Non va mai dimenticato, infatti, che le regole del gioco democratico dovrebbero essere uno dei fondamenti dell’identità collettiva (come avviene in Paesi come Francia, Inghilterra o Germania), mentre in questo caso ciò che si percepisce è la fretta di condurre in porto un sistema ibrido pensato esclusivamente per le Politiche del 2018, e dunque concepito a uso e consumo dei partiti che lo approveranno e a danno delle forze a esso contrarie.
Inoltre, quanto accaduto rappresenta un cambiamento a 360 gradi della condotta del Governo nei confronti di una partita che a lungo aveva definito come di esclusiva competenza del Parlamento. Starà a Paolo Gentiloni, in caso, motivare una scelta poco in accordo anche con il suo tradizionale “approccio soft” ai problemi, ma l’impressione che si ricava dalla vicenda è quella di un premier che ha subìto l’iniziativa del segretario dem Matteo Renzi, compromettendo del tutto le relazioni con una componente della sua maggioranza (Articolo 1 – Mdp) per assecondare accordi ed esigenze di natura politica. Alla luce di questa considerazione, non si capisce perché l’Esecutivo non si sia mosso nello stesso modo per tentare il via libera finale allo Ius soli, e ancor di più risulterà incomprensibile un mancato ricorso allo strumento della fiducia da ora in avanti.
A quanto risulta dal Quirinale, da Sergio Mattarella non sarebbero arrivate opposizioni alla blindatura del “Rosatellum 2.0”, mentre l’ex presidente Giorgio Napolitano ha annunciato che interverrà a Palazzo Madama “per mettere in luce l’ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi deputato oggi, o senatore domani, può far valere il suo punto di vista e le sue proposte, e contribuire così alla definizione di un provvedimento tra i più significativi e delicati”. Se è vero che la mancata definizione del tema riforma elettorale avrebbe comportato ancora una volta una perdita di credibilità della classe politica, la strada scelta per risolvere la questione non è certo la migliore per riportare il clima alla normalità in vista della sessione di bilancio e del successivo ritorno al voto, in quanto sembra ormai evidente che le Camere chiuderanno i battenti nella seconda metà di dicembre.