Alla Camera solo parole. E chi teme lo status quo è Gentiloni
Articolo di S.D.C.
“Vorrei somigliarle se fossi presidente, dal Mattarellum avrei fatto il Benignellum, sarebbe stato bellissimo”. Scherza così Roberto Benigni, martedì, in occasione della premiazione dei David di Donatello per il cinema davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che riceve i candidati al Quirinale.
Dalla battuta che fa sorridere alla triste realtà, invece, il passo è breve. Laddove sono tornati in molti, ormai, a rendersi conto che la promessa tante volte pronunciata di accordarsi su una nuova legge all’indomani della bocciatura referendaria dell’Italicum resta sospesa nel novero delle buone intenzioni. Semmai, si è fatto pure qualche passo indietro.
Ufficialmente, infatti, siamo fermi alle “ultime” dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera. Prima con la passerella di professori ed esperti nel corso di alcune audizioni, a inizio marzo. Poi, più di recente, con la decisione di Alternativa popolare e Forza Italia di respingere il ritorno al Mattarellum in quanto al Senato non ci sarebbero i numeri necessari per approvarla (posizione espressa, nella giornata di ieri, anche da Mdp). Inoltre, la calendarizzazione in Aula della riforma dovrà tener conto degli effettivi lavori della Commissione. Il che non lascia presagire tempi brevi.
Ricordiamo, per inciso, che al momento non è ancora stato individuato un testo base tra le proposte presentate (poco meno di una trentina), tra loro diverse per segno (tra i firmatari dei molti DdL figurano infatti esponenti sia di maggioranza che di opposizione) e contenuto (si spazia dal ritorno al Mattarellum all’adozione di un sistema proporzionale “alla greca”, fino al meccanismo messo a punto nel 2014 dall’M5S).
La situazione insomma resta bloccata. In attesa, ora, dell’esito del Congresso Pd (fine aprile). Poi si vedrà. La verità è che Matteo Renzi, probabile vincitore delle primarie, insiste sul Mattarellum soltanto per farselo bocciare, come già fanno, dagli avversari interni ed esterni al partito. E scaricare in tal modo la colpa della paralisi. All’ex segretario e premier, tutto sommato, non dispiacerebbe andare a votare con le due leggi attuali, l’Italicum privato del ballottaggio alla Camera e il Consultellum al Senato. Al più, se possibile, avvicinati soprattutto per la diversa soglia di sbarramento (3% nella prima, 8% nella seconda), ma nemmeno poi tanto dato che l’8% costituisce una buona “tagliola” per i piccoli partiti a cominciare dagli scissionisti Pd. E comunque lasciando perdere il premio di coalizione, che lo costringerebbe a fare patti da subito proprio con Mdp o altri “cespugli” rossi. Ragionamento più o meno analogo a quello portato avanti da Silvio Berlusconi nel variegato mondo del centro-destra.
Si dirà che nessun partito oggi è in grado di raggiungere il famoso 40% di lista per poter governare da solo. Vero. In realtà tutti e tre i poli in campo (Pd, M5S e centro-destra a lista unica se mai ci riuscisse), a torto o a ragione, sperano di raggiungere il premio. E delle tre forze, tolto M5S che non si comprende con chi possa allearsi visto che predica di non volerlo fare per ‘statuto’, almeno due (Pd e centro-destra di Berlusconi con qualche altro “piccolo” di contorno) se ‘necessitati’ dal Quirinale potrebbero accordarsi per evitare la paralisi istituzionale.
Questi i fatti, mentre il Governo Gentiloni naviga sempre a vista. In realtà, la ricerca concreta di un accordo per una nuova legge sarebbe la migliore garanzia di durata. Il fatto che a qualcuno vanno bene le cose come stanno, non proprio.