Il taglio dei parlamentari accontenta i populisti e porta risparmi per lo Stato. Meno deputati significa però più efficienza e onestà? Ridurre la rappresentanza democratica può acuire la distanza tra i cittadini e le Istituzioni?
Gli ultimi a festeggiare per un trofeo alzato al cielo nella Capitale erano stati i tifosi della Lazio, che lo scorso 15 maggio avevano battuto l’Atalanta nella finale di Coppa Italia allo stadio Olimpico, per poi riversarsi in centro con tanto di caroselli e tradizionali bagni nelle fontane. Forse per questo ieri pomeriggio ai turisti e passanti distratti dalle bellezze di Roma i cori, gli striscioni e le coreografie organizzate dai sostenitori del Movimento 5 Stelle fuori Montecitorio saranno apparse se non eccessive quanto meno poco comprensibili. Eppure gli addetti ai lavori sanno bene che per il Movimento quello del taglio dei parlamentari, la cui riforma è stata votata appunto ieri, è la Champions League dell’Onestà, la spada nella roccia con cui suggellare anni di battaglie contro la Casta.
Ma andiamo con ordine. Ieri nel tardo pomeriggio è arrivato il via libera dell’Aula della Camera al taglio dei parlamentari. Il Disegno di legge costituzionale che riduce i deputati a 400 dai 630 attuali ed i senatori a 200 dagli attuali 315, è stato definitivamente approvato a Montecitorio con 553 voti a favore, 14 contrari e due astenuti. Trattandosi di un Ddl costituzionale, era richiesta la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, pari a 316 voti. Un voto “obbligato”, che sancisce un primo passaggio delicato di questa Legislatura ‘giallorossa’, il cosiddetto Conte Bis, che aveva il dovere, da contratto, di mettere in bacheca il primo agognato trofeo.
Forse per questo il primo a tessere le lodi del provvedimento è stato proprio lui, l’Avvocato del Popolo, Giuseppe Conte, che ha definito questa riforma “un passo concreto per riformare le nostre Istituzioni”. Parole a cui hanno fatto eco le esternazioni del capo politico del M5S, Luigi Di Maio: “Una riforma storica, una grandissima vittoria per i cittadini italiani”, ha detto ai fan fuori dalla Camera.
Entrando nel merito di questo riforma costituzionale i nodi fondamentali sono due. Il primo economico, con lo stesso Di Maio che dal Blog a Cinque Stelle snocciola i dati. Si taglieranno “345 poltrone, risparmiando per gli italiani mezzo miliardo di euro ad ogni legislatura. 345 stipendi da 14 mila euro al mese che i contribuenti non dovranno più pagare e che torneranno nelle loro tasche”. Nel Blog pentastellato si legge ancora: “In 10 anni il taglio dei parlamentari farà risparmiare 1 miliardo di euro, che potrà essere reinvestito, ad esempio, per costruire 133 nuove scuole o 67mila aule per i nostri bambini, ma anche per comprare 13mila ambulanze, assumere 25mila infermieri o 11mila medici. Un miliardo equivale a 133 nuovi treni per i nostri pendolari, al Sud come al Nord. Non sono briciole, ma soldi veri per i cittadini”.
Numeri però che l’autorevole fact-checking di Pagella Politica per Agi, analizzando gli ultimi bilanci di Camera e Senato, ha ridimensionato, parlando di un risparmio di circa 80 milioni di euro l’anno. Parliamo di una cifra importante ma che, per essere chiari, rappresenta appena lo 0,005% del debito pubblico italiano. Per carità, da qualche parte bisognava pure partire, soprattutto per dare quel segnale “anti-Casta” che il popolo e il populismo chiede da tempo.
L’altro tema, certamente meno spendibile per un tweet, è l’oggettiva rinuncia ad una rappresentanza democratica che il popolo, in odio alla (mala) politica e alla Casta, ha deciso attraverso il mandato dato all’attuale Parlamento. Un aspetto sociologico e culturale sul quale occorre soffermarsi, se vogliamo ricostruire una credibilità e un rapporto fra il Paese reale e le sue Istituzioni. Che ci sia un deficit di rispetto e stima nei confronti dei nostri rappresentanti è ormai un dato assodato e lo dimostrano anche le migliaia di giovani che sono scesi in piazza per protestare nei confronti delle politiche nazionali e internazionali messe in campo contro i cambiamenti climatici.
Lo scollamento della rappresentanza politica, soprattutto quella parlamentare, dai cittadini e dai territori ha fatto il resto. Quella che per gli antichi greci e romani era un’arte nobile, la politica, è diventata ormai nell’immaginario collettivo dei cittadini italiani una casta del malaffare e dello sperpero, che va sconfitta, se non sostituita con nuovi strumenti di partecipazione democratica (?) offerti da piattaforme e social, sui quali ormai, si sono spostati gran parte dei dibattiti pubblici e la stessa agenda di governo del nostro Paese.
Il taglio del numero dei parlamentari votato ieri comporta una modifica della Carta Costituzionale e indirettamente degli equilibri esistenti tra corpo elettorale e Parlamento, ma anche uno sbilanciamento a favore dell’Esecutivo e a scapito dell’assemblea elettiva. Avere meno rappresentanti ci renderà cittadini più ricchi o significherà avere meno voci fuori dal coro, meno persone libere disposte a fare ciò che è giusto e non ciò che viene ordinato dal capo politico?
Dinnanzi ai gravi peccati commessi negli ultimi vent’anni dai nostri politici, non tutti però, diciamolo, forse la ghigliottina delle poltrone era l’unico antidoto, ma certamente non esiste alcuna equazione tra l’avere meno parlamentari e averne di più liberi, preparati e onesti. Questo dato può essere asserito solo nei selfie ma non ha alcun riscontro logico e razionale. Piuttosto bisognerebbe tornare ad investire su una classe dirigente che si forma sui territori, capace di tradurre i bisogni in azione politica. Alimentare il disprezzo verso la politica e le Istituzioni non può portare ad alcuna crescita sociale ed economica in un Paese come il nostro, già lacerato da mille polemiche, ma può soltanto acuire, rendendola sempre più incolmabile, la distanza fra le Istituzioni e i cittadini italiani.