Il 4 agosto 2020 una potente esplosione colpì il porto di Beirut, causando 218 morti, oltre 6.500 feriti e circa 300mila sfollati. A un anno di distanza, il Libano continua a trovarsi di fronte a una grave crisi economica, politica e sociale.
Il tragico episodio, che distrusse il porto di Beirut e inflisse gravissimi danni a tutta la città, venne causato dall’esplosione di quasi 3.000 tonnellate di nitrato di ammonio, materiale altamente tossico ed esplosivo, lasciato imprudentemente all’interno di un magazzino portuale. Le indagini per capire chi siano i reali responsabili della tragedia continuano tra mille difficoltà e per il momento hanno portato a ben pochi risultati. Il Paese sta ancora aspettando giustizia.
Già prima dell’esplosione, il Libano stava vivendo una pesante crisi economica e finanziaria ulteriormente aggravata dalla pandemia di Covid-19. In questo ultimo anno la situazione non ha fatto altro che peggiorare, con tassi di disoccupazione e di povertà estrema in forte aumento. Come riportato da Lab Parlamento Medici Senza Frontiere ha lanciato un preoccupante allarme circa le precarie condizioni in cui una parte consistente della popolazione libanese è costretta a vivere.
Attualmente l’inflazione è attorno al 90%, con i prezzi dei beni alimentari che nell’ultimo anno sono aumentati del 220%. Il potere d’acquisto dei libanesi è dunque bassissimo, e questo rappresenta un grande problema per un Paese che dipende quasi totalmente dalle importazioni, visto che la moneta vale molto poco. Nel frattempo, i casi di Covid-19 continuano ad aumentare e la sanità è al collasso. Molti libanesi sono impossibilitati ad accedere al servizio sanitario e a procurarsi medicine. Solo il 15% della popolazione ad oggi ha ricevuto entrambe le dosi di vaccino, mentre gli ospedali sono sempre più in difficoltà.
Anche a livello politico la situazione è piuttosto delicata. Proprio all’indomani dell’esplosione, Hassan Diab, allora premier in carica, ha rassegnato la dimissioni, aprendo di fatto una crisi politica che dura fino ad oggi. Il 26 luglio scorso, il presidente Michel Aoun ha incaricato l’uomo d’affari sunnita Najib Mikati di formare un nuovo governo che però fatica a nascere. La nomina di Mikati segue la decisione di Saad Hariri di dimettersi dopo nove mesi di tentativi vani di formare un governo. Allo stato attuale, Mikati sembra poter contare sull’appoggio dei partiti sciiti, tra i quali Hezbollah, mentre trova una ferma opposizione da parte dei partiti cristiani. La strada che porta ad un governo stabile e in grado di far uscire il Libano dalla crisi sembra più intricata che mai.
Mikati è infatti un ricco imprenditore che già in passato ha ricoperto il ruolo di premier, nel 2005 e nel 2011, oltre ad essere stato diverse volte ministro. Agli occhi di gran parte della popolazione appare come il degno rappresentante della classe politica che ha condotto il paese all’attuale situazione di crisi e dunque non sembra godere di grande fiducia tra i libanesi.
A un anno dalla terribile esplosione nel porto di Beirut, in Libano, ben poco è cambiato. Lo scenario economico e sociale è preoccupante e difficilmente il Paese riuscirà a risollevarsi senza prima superare la crisi politica. Garantire un governo stabile e capace di rispondere alle richieste di uguaglianza e giustizia proveniente dai cittadini libanesi deve essere la priorità ma al momento la salvaguardia degli interessi personali e la scarsa visione del futuro sono le uniche caratteristiche dell’attuale scenario politico libanese.