di Eleonora Spadaro
“Joy è solo un piccolo esempio di quello che fanno le forze dell’ordine per le ragazze nella sua stessa condizione. Io sono riuscito a dare voce a questa storia ma, ogni giorno, personale di Polizia garantisce nuove possibilità di vita a decine e decine di Joy schiavizzate, maltrattate, abusate, molestate, che ritrovano la luce solo grazie al loro intervento”. Così a LabParlamento, Salvatore Blasco, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, attualmente dirigente del Reparto Prevenzione Crimine Emilia Romagna occidentale, e scrittore del libro autobiografico ‘Joy per sempre- Diario di un commissario di Polizia’, pubblicato dalla Compagnia editoriale Aliberti e con la quarta di copertina dell’importante teologo Vito Mancuso.
Una storia vera, a tratti terribile, raccontata da chi ha salvato dalla tratta della prostituzione minorile una giovanissima ragazza nigeriana e l’ha accolta in casa come una di famiglia.
Dottore Blasco, ha scritto un libro ispirato alla storia vera di lei e di Joy Francisca, una ragazza nigeriana, minorenne, finita nelle mani della mafia nigeriana e che lei ha salvato. Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Con i poliziotti della Squadra Mobile di Piacenza abbiamo prelevato Joy dalla strada il 16 febbraio del 2015. Lei era stata introdotta nel giro della prostituzione proprio poche ore prima. Non ho mai pensato di aver salvato Joy perché in realtà la sua conoscenza ha talmente arricchito la mia vita da sentirmi io salvato da lei.
Ci vuole raccontare di come Joy sia scomparsa?
Joy è morta a marzo del 2019 a seguito di una sepsi, conseguenza di una meningite fulminante che in tre giorni ce l’ha portata via. Non è stato facile affrontare la morte di una ragazza diventata nel tempo parte integrante della mia famiglia. Durante le notti insonni ho cominciato, quasi in modo terapeutico, a scrivere su di lei. Si trattava di ricordi della nostra vita insieme che, su idea di alcuni amici, sono stati assemblati diventando una storia. Quella storia è diventata un libro che è riuscito a dare un senso profondo alla morte di una ragazza che in pochi anni ci ha arricchito la vita. Attraverso quei ricordi sono riuscito a trovare il mio luogo in cui l’incomprensibile è diventato comprensibile.
Joy ha trovato lei, la sua famiglia e una rete di persone che l’hanno accolta e aiutata. Cosa pensa bisognerebbe fare per tutte le altre ‘Joy’ che ogni anno arrivano in Italia e vivono l’incubo della prostituzione e dei maltrattamenti?
Penso prima di tutto che ad alti livelli si dovrebbe iniziare a spingersi oltre e smetterla di rimanere indifferenti al perché la gente scappa dalla propria terra, cercando piuttosto di porre un rimedio a quell’esodo, cooperando alla rinascita di quei luoghi.
Noi ‘piccoli’ di questa terra, invece, non possiamo che destarci da queste situazioni, denunciarle in ogni forma ed impegnarci per la tutela della dignità di queste persone che non sono altro che gli schiavi del nostro secolo. Come forze dell’ordine sicuramente si fa il possibile ma per ogni arresto che si fa ci sono nuovi schiavisti pronti a subentrare a quelli appena messi in carcere.
Ecco che allora è importante che la gente per bene si ribelli a queste situazioni, con gesti di solidarietà condivisa che possano garantire apertura e accoglienza a tutte quelle lottatrici di speranza che, come Joy, meritano una vita dignitosa e rispettosa del loro essere.
Che ruolo crede che abbiano avuto, ed hanno tutt’ora, le Istituzioni e le forze dell’ordine, nella storia di Joy?
Joy è solo un piccolo esempio di quello che fanno le forze dell’ordine per le ragazze nella sua stessa condizione. Io sono riuscito a dare voce a questa storia ma, ogni giorno, personale di Polizia garantisce nuove possibilità di vita a decine e decine di Joy schiavizzate, maltrattate, abusate, molestate, che ritrovano la luce solo grazie al loro intervento.
Un ruolo fondamentale è poi svolto dai servizi sociali che, quando efficienti e composti da gente professionale e appassionata, come quelli di Piacenza, riescono a garantire percorsi di crescita determinanti per queste giovani.
Ed infine ci siamo tutti noi cittadini che prima di vedere l’immigrato solo come straniero dovremmo forse riconoscerlo come persona con le sue difficoltà e necessità. Un’integrazione sana e rispettosa della persona dovrebbe essere alla base di ogni società civile.
Da uomo prima e poliziotto dopo, cosa le ha lasciato quest’esperienza?
Joy è stato un messaggio profondo di dolcezza e delicatezza che ha segnato per sempre la mia vita sia come uomo che come poliziotto. Oggi, quando mi sveglio la mattina, penso prima di tutto a mio figlio ed alla responsabilità che ho nel crescerlo standogli vicino il più possibile. E poi penso a quanto sono fortunato ad avere tutto quello che ho, senza il desiderio di volerne ancora di più. L’ambizione è dare il massimo nella mia quotidianità, in ogni relazione personale e lavorativa. Non è sempre facile ma quando ce la faccio sento di essere in sintonia con il messaggio che mi ha lasciato Joy.