Una volta le vacanze duravano tre mesi, la famiglia era accompagnata al mare o in montagna, dove trascorreva un lungo periodo di ferie. Sembrano tempi passati, con una vacanza che con il tempo è diventata sempre più “mordi e fuggi”, con la predilezione verso paradisi esotici, posti esclusivi e famosi. Ma la situazione potrebbe cambiare, la crisi che si prospetta potrebbe far rivalutare quei piccoli borghi, quelli delle radici, per lungo tempo dimenticati e abbandonati a un inesorabile oblio.
Ho scoperto a un’ora da Roma, in Abruzzo, Cappadocia un piccolo borgo a 1.100 metri, con la più grande faggeta d’Europa, strade fatte di ciottoli e case in pietra (la maggior parte con cartelli vendesi), antiche chiese e tradizioni. In questo posto, dove vivono in inverno poco più di un centinaio di persone e che si popola solo nel mese di Agosto, il tempo scorre adagio.
Incantata dal luogo, ho acquistato una delle casette del centro storico. E’ un investimento dettato dalla voglia di avere un posto bello, immerso nella natura, vicino la città, ricco di storia, e a un prezzo che nella Capitale non avrebbe consentito l’acquisto di un box auto. Ogni casa ha qui un soprannome: la mia è “il portone degli schiaffoni”, perché nel mio archetto di pietra con tre scalini, i Cappadociani si scambiavano “carezze” con avversari o nemici.
All’inizio per i residenti sono stata una forestiera, quasi un’intrusa. La domanda più frequente di quel primo periodo era: “di chi si figlia?”. Abituati a vedere sempre le stesse persone, gli abitanti non trovavano altra ragione per quest’acquisto, se non qualche mio antenato di queste parti. Curiosità e diffidenza sono stati i primi sentimenti nei miei riguardi, poi sono arrivate simpatia, fiducia, confidenza e affetto.
Cappadocia è posta su un crinale con salite “spaccacuore”, era una volta il paese dei mulattieri che salivano sui Monti Simbruini per tagliare la legna, raccogliere il carbone e portare entrambi in giro per l’Italia. Un lavoro di fatica e sacrifici che ne ha plasmato il carattere rendendolo schivo, al quale si accompagna una naturale permalosità ereditata da quei Briganti che tra queste montagne si rifugiavano praticando il contrabbando; non a caso nel Gonfalone del Comune è rappresentato il tipico copricapo.
Lo stesso nome Cappadocia sembra derivi da Caput Duodecim, la banda di 12 briganti che da queste parti si accampavano. Ma non solo, come ogni paese anche questo ha le sue leggende, una racconta che Marsia, Re dei Lidi, si rifugiò tra queste montagne dopo essere stato cacciato da Ciro il Grande. Un altro collegamento con la più famosa Cappadocia in Anatolia è l’uso di nomi tipici di quei luoghi, con Santi protettori, martiri turchi: San Biagio e Santa Margherita. Nome e devozione che potrebbero essere arrivati, più realisticamente, con la fuga di frati domenicani dediti alla Regola Basiliana, che durante le guerre iconoclaste fondarono dei monasteri tra questi monti.
Briganti, Santi Turchi, mitici Re ma anche territorio del Regno delle due Sicilia per lungo tempo. Passeggiando tra i boschi ancora è possibile trovare colonnine che indicano il confine con lo Stato Pontificio. Se la vicina Tagliacozzo è un’enclave per il turismo internazionale, specie tedesco, con musei, locali ed eventi, a pochi chilometri c’è questo paesino, con le sue frazioni che dominano due lati di una vallata: ha una stazione sciistica, è un territorio ricco di grotte suggestive, sorgenti e fiumi. Qui nasce il Liri.
Nel bosco è possibile trovare 70 orchidee spontanee, castagni, noci, funghi porcini e tartufi, qui vivono scoiattoli, istrici, volpi, grifoni, lupi e orsi. In questo luogo si può riposare, respirare passeggiare e sentire i racconti degli anziani che al primo raggio di sole escono con le sedie per strada. Le loro storie parlano di lavoro, dei forti e fedeli muli, della generosa e rustica cucina, dei sentieri che dalla montagna portavano in Umbria, Toscana e Lazio, di riti e tradizioni.
Riti che sopravvivono attraverso le processioni da parte delle confraternite, che portano in giro per il paese, tra salite e discese, le statue dei Santi; suggestiva quella delle donne che vestite di nero, con velo e guanti bianchi, trasportano a spalla l’Addolorata. Altra autentica passione Cappadociana sono i cavalli, tutti i residenti possiedono almeno un esemplare. Amore che trova il suo momento più importante nel Gran Galà equestre del 10 e 11 settembre, dove con il Patrocinio del Comune si esibiscono ogni anno, sotto una Direzione Artistica di alto livello, artisti di fama internazionale. In quei giorni Cappadocia saluterà tutti prima del grande e lungo inverno, quando si ricoprirà di neve, pigra e lenta accenderà i suoi camini, e come la “bella addormentata nel bosco” aspetterà il ritorno della primavera.