A cura dell’avvocato Teresa Lopardo*
A più di due mesi dall’inizio del conflitto Russo-Ucraino che sta impattando sul quadro economico di uno scenario globale già complesso e provato dal perdurare della crisi pandemica e sovrastato da un clima di forte tensioni e profonde incertezze, ci si interroga su quali possano realmente essere i possibili effetti macroeconomici della guerra in Ucraina in particolare per il nostro Paese con particolare attenzione al comparto energetico.
La crisi militare ha generato a livello globale conseguenze decisamente eterogenee in dipendenza della prossimità delle diverse aree geografiche al conflitto, alla soggezione da petrolio, gas e altre commodity e soprattutto ai legami del settore produttivo e finanziario con i paesi direttamente coinvolti nella guerra.
Tra i settori più impattati, in particolar modo nell’UE, troviamo quelli cd. energivori (metallurgica, chimica, ceramica e vetro) ed altri comparti industriali internazionalizzati come i mezzi di trasporto.
Nell’attuale contesto di forte incertezza è difficile prevedere l’andamento dell’economia italiana e dal rapporto stilato dal Centro studi di Confindustria emergono diversi scenari previsionali economici negativamente condizionati dall’invasione russa dell’Ucraina: il solo impatto delle sanzioni alla Russia sull’export italiano interessa un volume di circa 686 milioni di euro di vendite verso la Russia, pari all’8,9% dell’export italiano.
Con queste premesse l’espansione del Pil italiano risulterà più contenuta rispetto a quella stimata precedentemente nello scorso ottobre. Lo stesso CSC, nello specifico ha previsto una contrazione dello 0,2% nel primo trimestre del 2022 e dello 0,5% nel secondo, una recessione tecnica seguita da un rimbalzo che porterebbe la crescita per l’intero anno all’1,9%.
Per Kammer, responsabile del Dipartimento europeo dell’FMI, la guerra ha bloccato le maggiori economie europee nella prima parte del 2022, pertanto, ci sarà una crescita piatta se non addirittura la recessione per Francia, Germania, Regno Unito e Italia, per la quale il FMI ha previsto un incremento del Pil del 2,3% nel 2022, con un taglio di 1,5 punti sulle previsioni di inizio anno. Tali effetti investiranno anche il 2023, quando presumibilmente il Pil crescerà solo dell’1,7%.
In particolare, per gli economisti di Confindustria, il prolungarsi della guerra in Ucraina, si rifletterà sui prezzi dei beni energetici – gas e petrolio in primis – e di alcune commodity agricole, intaccando pesantemente il commercio internazionale.
I rincari di petrolio, gas e carbone faranno crescere i costi per le imprese dovendosi già registrare “un incremento della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile”, ovvero di 68 miliardi su base annua, effetti che porteranno diverse imprese a ridurre o fermare la produzione già dai prossimi mesi.
Per affrontare gli impatti dello shock bellico sul settore produttivo occorreranno dunque strumenti di politica economica atti ad assicurare sostegno alle imprese. Ipotizzando un embargo totale sulle esportazioni di energia dalla Russia, i Paesi europei dovranno ricercare prioritariamente fonti di approvvigionamento alternative indirizzando i propri investimenti al rafforzamento della sicurezza energetica e all’accelerazione della transizione verde.
Dai dati raccolti dall’Orange Book della Fondazione Utilitatis, risulta che le comunità energetiche attualmente presenti nel nostro Paese sono poco più di 20, con installazioni di taglia tra i 20 e i 50 KW, ma il Pnrr prevede finanziamenti specifici di oltre 2 miliardi di euro per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo, attraverso le quali si arriverebbe a produrre un quantitativo di energia di circa 2.500 GWh annui in grado peraltro di evitare l’emissione di 1,5 tonnellate di CO2 all’anno.
La diffusione delle imprese energetiche, dunque, permetterebbe all’Italia di allinearsi ai target europei e di predisporre azioni mirate a contrastare il caro bollette, seppure con il grosso limite di tempistiche di realizzazione non a breve termine e vedendo ad oggi limitata la produzione interna da fonti rinnovabili ad una quota pari a poco meno del 40% del fabbisogno nazionale.
L’Italia, nel caso tutt’altro che improbabile di rottura commerciale totale con la Russia, sarà costretta dunque a trovare nell’immediato altri partners energetici a livello internazionale e contestualmente velocizzare la transizione green o comunque sviluppare autonomamente nuove fonti di approvvigionamento energetico. Ciò inevitabilmente avrà un costo elevatissimo in termini di investimenti pubblici e privati e, presumibilmente, anche in termini di chiusure di imprese e di disoccupazione nel breve e medio periodo.
*Studio Viglione-Libretti & Partners