La fine dell’era Merkel rallenterebbe i cambiamenti proposti da Francia e (anche) Italia
di Mara Carro
A due mesi dalle elezioni del 24 settembre, la Germania non ha ancora un governo. I negoziati per la nascita di una “Coalizione Giamaica” tra la Cdu/Csu, i liberali della Freie Demokratische Partei (FDP) e i Verdi sono falliti domenica 19 novembre, gettando dubbi sul futuro del leader più longevo d’Europa, Angela Merkel, e lasciando il Paese ad affrontare un momento di grave incertezza politica.
Dopo settimane di colloqui esplorativi, i liberali di Christian Lindner hanno abbandonato i negoziati un po’ per differenze inconciliabili su questioni chiave come l’immigrazione e l’ambiente, un po’ per puro calcolo politico, per tornare protagonisti della politica tedesca dopo quattro anni in cui non hanno avuto rappresentati nel Bundestag.
Angela Merkel ha subito dichiarato che preferirebbe nuove elezioni ma ad oggi, dopo l’appello alla responsabilità del Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier poco incline ad un ritorno alle urne, lo scenario più probabile è una riedizione della “Grosse Koalition ” tra la CDU-CSU e l’SPD, il Partito Socialdemocratico tedesco guidato da Martin Schulz che ha governato la Germania dalle elezioni del 2013 e durante il primo mandato della Merkel, tra il 2005 e il 2009.
Dopo la notizia del fallimento dei negoziati “Giamaica”, i socialdemocratici avevano ribadito di voler stare all’opposizione escludendo il ritorno ad un governo con l’attuale Cancelliere che è costato al partito il suo peggior risultato elettorale nella storia tedesca del dopoguerra. Una riedizione della “grande coalizione” è la soluzione caldeggiata dal Presidente tedesco e forti sono state le pressioni su Schulz in questo senso. Molti nel partito sono consapevoli che una coalizione CDU/CSU – SPD – non gradita dalla base – potrebbe danneggiare ulteriormente il partito ma sanno anche che nuove elezioni potrebbero portare ad un risultato ancora più disastroso. In un incontro durato quasi tutta la notte, i leader del partito avrebbero infine deciso di contribuire a risolvere il limbo politico che ha lasciato la Germania senza una chiara opzione di coalizione per la prima volta nella sua storia post-bellica.
Nel caso in cui la Merkel e l’SPD trovassero un nuovo accordo, Alternative für Deutschland, (AfD), il terzo partito più votato alle elezioni del 24 settembre, si ritroverebbe a rivestire il ruolo di principale forza di opposizione con la possibilità di rivendicare alcuni incarichi istituzionali
In alternativa, la Merkel potrebbe optare per la formazione di un governo di minoranza. Il Cancelliere sarebbe così costretto ad andare alla ricerca di maggioranze diverse per ogni singolo provvedimento proposto. A livello federale la Germania post-bellica non ha visto amministrazioni di minoranza e questa soluzione è estranea sia agli usi dello Stato tedesco, sia allo stile di leadership della Merkel che si è detta “scettica” nei confronti di un governo di minoranza in quanto potrebbe non garantire la necessaria stabilità. Controllando solo un terzo dei seggi in parlamento, la CDU e la CSU sarebbero sottoposte a continue pressioni per modellare la maggioranza e quindi esposte ai ricatti degli altri partiti. Per un Cancelliere che ha governato la Germania in “stile presidenziale” per più di un decennio, questo sarebbe un cambiamento e una sfida difficile da affrontare.
Questa considerazione porta all’ultima opzione: nuove elezioni. Il potere di convocare una nuova elezione è nelle mani del Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier che è estremamente riluttante ad usarlo.
L’establishment della Germania cercherà di evitare nuove elezioni che non necessariamente romperebbero lo stallo attuale. Gli ultimi sondaggi danno i principali partiti molto vicino ai risultati ottenuti alle elezioni di settembre. E c’è chi teme che un nuovo voto potrebbe rafforzare maggiormente la destra di AfD e indebolire ancora di più il partito della Merkel.
Negli ultimi anni la Germania è stata un pilastro di stabilità in Europa e la Merkel una figura apparentemente permanente del panorama tedesco e comunitario. Entrambe queste verità sono ora messe in discussione. Il prossimo Esecutivo tedesco impiegherà ancora tempo per nascere e sarà nettamente più fragile rispetto ai precedenti. La fine dell’era Merkel è sicuramente iniziata. La situazione attuale offre al resto d’Europa l’opportunità di prepararsi per una Germania post Merkel, che entro quattro anni al massimo diventerà realtà. Il Cancelliere uscente si è indebolito dopo le elezioni di settembre, una flessione di oltre l’otto per cento di consensi dal 41,5% del 2013 al 32,8% di settembre. La Merkel è stata oggetto di crescenti critiche anche negli ultimi due mesi. Tuttavia, le previsioni sulla sua uscita di scena immediata sono esagerate: non solo è ancora popolare tra la popolazione in generale ma l’assenza di un chiaro successore rende improbabile che il partito abbia una nuova squadra dirigente pronta in tempo per le nuove elezioni.
L’incapacità di formare un governo nella più grande economia europea potrebbe avere implicazioni sugli equilibri interni all’Europa, dalle riforme della zona euro ai dossier Brexit e immigrazione. Senza un nuovo governo democraticamente legittimato, Berlino non può impegnare il Paese in progetti politici di ampia portata a livello europeo o internazionale.
Gli eventi dell’ultima settimana hanno confermato Emmanuel Macron nel ruolo di leader in Europa, ma una Merkel indebolita e una Germania ripiegata su se stessa sono un ostacolo ai grandi piani di riforma della zona euro e dell’Ue nel complesso, per i quali il presidente francese ha bisogno di una Germania stabile, forte e intraprendente. Le difficoltà tedesche potrebbero portare la Francia e l’Italia a diventare protagonisti più attivi, ma rallenterebbero comunque eventuali innovazioni. I ministri delle Finanze dell’Eurozona, ad esempio, quasi certamente non saranno in grado di prendere decisioni importanti all’inizio di dicembre, quando si incontreranno per discutere una potenziale tabella di marcia per la riforma della moneta unica. La finestra di opportunità si chiuderà verso la metà del 2018, poiché il 2019 sarà anno di elezioni europee e quindi difficilmente si potranno mettere in campo cambiamenti di ampio respiro.