Il maggior danno che, come popolo italiano, facciamo a noi stessi, ormai da svariati decenni, è la spasmodica ricerca di “riforme”. Le riforme le cerchiamo, in ogni settore e in ogni dettato normativo esistente, tanto che nel tempo, si sono susseguite riforme di riforme e nell’assetto normativo si è giunti alla totale incertezza della norma riformata e la necessità, esprimendo forse un nuovo concetto decisionale e di ricercata comprensione, di farlo precedere dai “visto”, “considerato”, “tenuto conto”, “ritenuto” per poi sempre procedere con richiami a questo o quell’articolo o a precedenti o storici richiami normativi tenuto conto che non pochi sono gli interventi che modificano articoli, ne abrogano alcuni o parti di essi per richiamarne altri.
Dicono che siamo in un Paese di democrazia e di diritto ma ritengo che siano due concetti che non possono più trovare oggi la loro giusta definizione in un tal stato di cose. La “democrazia” è e doveva essere la forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo tramite propri rappresentanti liberamente eletti; la “democrazia” era e doveva essere l’espressione di un Paese ordinato e retto da un’organizzazione democratica del potere.
Il popolo non ha alcuna possibilità di individuare i propri diretti rappresentanti per poi sceglierne, tra gli stessi, quelli da eleggere, il che implica anche che l’organizzazione democratica del potere non è un derivato dell’esercizio stesso del potere del popolo. La Storia e la Letteratura sono scorse come acqua di fiume e nessuna memoria di loro ci appare lucida una volta passata.
Correva l’anno 518 quando Giustiniano fu proclamato Imperatore e ci viene ricordato poi da Dante nel Canto VI del Paradiso. Perché ricordare Giustiniano? Semplicemente perché Giustiniano, nel rispondere alla domanda di Dante: “chi tu se’ ” disse: “Cesare fui e son Iustiniano, che, per voler del primo amore ch’i’ sento, d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano”. Ed allora perché sta procedendo con riforme di riforme e non si toglie dalle leggi il superfluo e l’inutile? La risposta esatta non la trovo ma una mezza idea credo di averla.
Un sistema che si fonda e si prodiga a una sovrapproduzione di “leggi” di varia natura e modifica anche ciò che non dovrebbe essere modificato, produce linfa vitale per la non certezza del diritto, per il mantenimento di sovrastrutture burocratiche, per dar sempre maggiormente il fianco all’incertezza e potere a chi è chiamato a gestirne l’interpretazione.
Le cosiddette liti dei palazzi della “politica” vivono di tali spasmodiche ricerche di riforma e si contrappongono nell’interpretazione e nelle linee da dettarsi in funzione del singolo esponente che rappresenta un raggruppamento del momento. Tutto ed il contrario di tutto è possibile dire e fare purché sia diverso da quanto detto da altri e comunque poi si trovano, giustamente, sempre accoliti che condividono. Sarebbe opportuno che si tornasse all’applicazione pura della nostra Costituzione e tutto poi venisse, nel caso concreto, vagliato e giudicato in dipendenza dei Codici figli di quella Costituzione. La rinnovata riviviscenza di un tracciato giusto e di un tracciato sempre attuale e garantista anche per la sua applicazione al caso concreto.
Non è possibile sperare più che giunga nella nostra “vita di Stato democratico” il Giustiniano di turno affinché si abbandoni l’attività di riforme delle precedenti riforme e si provveda a mettere mano all’eliminazione del troppo e dell’inutile presente nelle norme della nostra Repubblica. Non vedo speranze perché, l’impostazione del sistema così come nell’attualità è gestito, non permette che ciò possa essere attuato o perseguito.
Restando nelle mie reminiscenze classiche mi ritorna Dante nel Canto VI del Purgatorio con ogni sua attualità. «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta». Trovo comunque certezze a non essere ne solo ne il primo su quanto penso. In modo più completo e preciso ha avuto modo di legge un “toccante pensiero” di Rosaria Brancato, giornalista affermata ed eccellente professionista, sulla sua città che più che permettermi di commentare o riassumere riporto testualmente. Tra l’altro, ha scritto nel suo articolo “Parafrasando Dante…” nel 2016 (e la storia successiva credo non cambi): “Senza bisogno di scomodare Dante Alighieri “ahi, serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta”, è evidente che la barchetta della nostra città è in balia delle onde e della burrasca…
Un tempo lo scontro era lineare, c’erano i Fascisti contro i Comunisti. Poi sono arrivati i Democristiani e i Socialisti. E’ iniziata la stagione del consociativismo, quella dei due forni, fin quando dal cilindro degli ex dc sono usciti i centristi in grado di stare sempre a galla, infine si è arrivati al bipolarismo. La fine dalla Prima Repubblica ha reso lo scontro più chiaro tra berlusconiani e antiberlusconiani.
Ogni tanto a confondere animi e acque era la Lega Nord. Infine è arrivato il M5S. Tutto sommato ancora ci si poteva capire qualcosa con la mappa geopolitica. Ma con l’avvento di Renzusconi, con il trasformismo diventato regola di governo, è scoppiato il caos. Da Roma a Palermo non si capisce più niente… Per poi concludere il suo articolo
Come nella nave di Dante i nocchieri ci sono, ma sono troppo preoccupati a litigare per pensare a come superare la burrasca. Ed in fondo, era proprio quello che Dante raccontava”.