Tra italiani e francesi c’è una profonda differenza, non solo calcistica ma anche istituzionale. Loro votano il Presidente della Repubblica, noi assistiamo inermi, e talvolta scioccati (come a Gennaio) a liti e liturgie di palazzo.
Si dirà che il ruolo del Capo dello Stato, in Francia, è diverso da quello che la Costituzione assegna all’inquilino del Quirinale. Vero. Ma ciò non impedisce di guardare con ammirazione, per non dire con invidia, al processo elettorale transalpino.
Bicefalismo alla francese: così si definisce il rapporto di coesistenza tra primo ministro e presidente della Repubblica. L’uno chiamato a gestire gli affari interni in termini burocratici e politici e l’altro rappresentante dell’unità nazionale ma con una forte connotazione politica.
Il Costituente del ‘48 preferì tenersi lontano da questi sistemi a trazione presidenziale o semi-presidenziale per paura che l’ammassamento di potere in una figura suffragata dal voto popolare potesse determinare, come nel Fascismo, svolte autoritarie. I tempi sono tuttavia cambiati, il mondo è ormai diverso e le istituzioni devono modernizzarsi nel senso di cercare di stare al passo di questo ammodernamento.
Forse è proprio questa la riforma che servirebbe all’Italia per rilanciare il nostro sistema istituzionale, ormai vetusto e scarsamente democratico. A fronte delle ingerenze governative sul Parlamento, ormai soffocato dalle fiducie e privato di una vera iniziativa politica oltreché del mutamento costante delle leggi elettorali, la previsione del suffragio diretto nell’elezione del successore di Mattarella dovrebbe essere un obiettivo della prossima legislatura. Perché non è corretto dire ci siano altre emergenze preminenti sul necessario riassetto costituzionale.
Il prossimo ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen (dall’esito più che mai incerto) sia l’occasione per una nuova riflessione sulla necessità di un vero cambiamento che assegni al popolo italiano una nuova centralità.
Perché quando il popolo vota l’unico pericolo cui si incorre non è quello dittatoriale ma quello “rivoluzionario”.