Le primarie che lo incoroneranno candidato premier segnano i limiti della democrazia diretta pentastellata. E la sfida di Saviano ricorda quella di Grillo al Pd…
Sono stati resi noti nel tardo pomeriggio di ieri i nomi degli 8 candidati alla carica di candidato premier del Movimento 5 Stelle per le prossime elezioni Politiche. Com’era nelle previsioni, nessun esponente di primo piano del Movimento ha deciso di sfidare Luigi Di Maio, da mesi descritto nell’ambiente pentastellato come il “prescelto” per l’obiettivo di conquistare Palazzo Chigi. Nella lista dei concorrenti, infatti, non appaiono figure di spicco come Roberto Fico, Alessandro Di Battista o Carla Ruocco, ma una senatrice nota per lo più agli addetti ai lavori (Elena Fattori) e una serie di attivisti locali probabilmente sconosciuti alla gran parte degli stessi iscritti all’M5S.
Le ragioni della corsa in discesa che porterà al trionfo del vicepresidente della Camera sarebbero da individuare nelle perplessità suscitate tra gli eletti grillini dalle regole della competizione. In molti, a partire dalla cosiddetta ala “ortodossa”, non avrebbero gradito l’apertura della contesa agli indagati (che, sebbene prevista dal Codice etico, contraddice la filosofia originaria dei pentastellati) e, soprattutto, il conferimento al vincitore delle primarie del titolo di Capo politico, con i relativi poteri in ambito di uso del simbolo, approvazione delle candidature e apertura dei procedimenti di espulsione. Funzioni finora esercitate da Beppe Grillo in persona, e che se si applicherà alla lettera il regolamento verranno dunque trasferite a Di Maio, con il comico genovese a quel punto relegato al ruolo di padre nobile del Movimento.
Al di là dei retroscena, le modalità con cui è stata organizzata la votazione più importante nella storia dell’M5S non solo hanno confermato i limiti operativi e di trasparenza delle procedure di selezione online (a tal riguardo, è di pochi minuti fa la notizia della definitiva sospensione delle Regionarie siciliane, dopo la quale è in pericolo la candidatura a governatore di Giancarlo Cancelleri), ma rischiano anche di minare il pilastro della visione di democrazia diretta dei pentastellati: il principio dell’uno vale uno. Sebbene rimanga meritoria l’idea di lasciare alla base la scelta dell’esponente che li guiderà alle elezioni, in questa occasione appare evidente che la visibilità dovuta al ruolo esercitato e il sostegno (mai smentito) di Beppe Grillo e Davide Casaleggio concedono a Luigi Di Maio un vantaggio incolmabile per qualunque aderente al Movimento Cinque Stelle.
In poche parole, è concreto il rischio che l’imminente incoronazione del vicepresidente della Camera (l’annuncio dovrebbe essere dato durante l’evento “Italia 5 Stelle 2017”, in programma dal 22 al 24 settembre a Rimini) finisca per indebolire la sua corsa per Palazzo Chigi, in sé già resa ardua dalla presenza di una legge elettorale proporzionale. Senza contare, poi, che nelle scorse ore il Movimento ha dovuto subire lo smacco della candidatura provocatoria di Roberto Saviano, destinata a cadere per mancanza di requisiti come avvenne, nel 2009, per quella di Beppe Grillo in occasione delle primarie Pd poi vinte da Pierluigi Bersani. Un vero e proprio boomerang, dunque, per una formazione che ha sempre rivendicato di non avere le norme e le strutture pesanti dei partiti, e che ora si trova a dover fare i conti con la difficoltà di scegliere in modo efficace la propria classe dirigente.