Un esempio su tutti la riforma della Via. LabParlamento ha sentito l’on. Alberto Zolezzi , commissione Ambiente e da tempo impegnato su questi temi, all’indomani della consultazione online
di LabParlamento
A dispetto di un’urgenza dei problemi che si fa emergenza, l’attuale governance ambientale nazionale “dimostra debolezze, ignoranza e paure”. Lo sostiene l’on. Alberto Zolezzi, M5S, Commissione Ambiente, da tempo impegnato su queste tematiche, con il quale LabParlamento ha affrontato alcuni punti del possibile Programma del partito (riforma della Via, attività upstream, costi ambientali dei beni, economia circolare) alla luce della recente conclusione della consultazione online tra gli iscritti, che viene dopo quella sull’Energia.
Se mettiamo insieme la Strategia energetica nazionale, quella per lo Sviluppo sostenibile e quella contro i cambiamenti climatici, abbiamo fatto il Piano industriale per l’Italia al 2030 e al 2050. L’ambiente, ormai, non è più visto come un ostacolo ma come opportunità per le imprese e terreno su cui giocare la partita della concorrenza. Resta tuttavia da risolvere la questione legata alla governance di questo processo. Secondo voi, l’attuale governance nazionale è attrezzata al compito? E, nel caso, a quali modifiche pensereste?
L’attuale governance ha dimostrato debolezze, ignoranza, errori e paure. Mancano obiettivi e autorevolezza, l’ultima revisione del decreto sulla valutazione d’impatto ambientale (VIA), che era l’autorizzazione più seria in campo ambientale, ha dimostrato volontà di deroghe e sanatorie. Una vicenda, questa, che richiama criticità legate al decreto “Sblocca Italia”. L’attuale Ministero ha dato in mano a Sogesid, una società partecipata dal ministero delle Finanze, buona parte dei processi di bonifica nei siti più critici d’Italia: questa supervisione deve ritornare in capo al ministero. Una volta tracciato uno stato dell’arte dell’ambiente italiano con dati pubblici e obiettivi, dopo cioè che si sarà passati da un programma a un piano, sarà necessario condividere un percorso obbligatorio e urgente di tutela con il settore creditizio, le imprese e le pubbliche amministrazioni. Ogni euro investito in tutela dell’ambiente ne crea 2,5; ogni miliardo di euro investito in risparmio energetico crea oltre 15.000 posti di lavoro, contro i 500 delle fonti fossili e delle trivelle. Il nostro piano sarà fonte di sostenibilità ambientale, occupazione e risparmi. Abbiamo trovato 50 miliardi di euro impegnati in grandi infrastrutture inutili nel solo Nord Italia, solo 7 milioni in tutta Italia contro il dissesto idrogeologico, i vasi sono comunicanti perché attingono tutti da denaro pubblico (vedi project financing), basta inclinarli al contrario.
Le vostre posizioni espresse durante la consultazione lasciano in evidente subordine il settore upstream nazionale che, pure – ferme le garanzie ambientali – rappresenta tuttora e probabilmente ancora per alcuni anni un importante supporto economico, fiscale e occupazionale…
Non esiste alcun bilancio ambientale obiettivo di tale settore. Buona parte delle concessioni sono in mano straniera e addirittura il petrolio viene raffinato all’estero sottraendoci un bene prezioso che non ha senso usare in periodo di bassi prezzi. Non si è mai superato il 10% del gas o del petrolio consumato a livello nazionale con le estrazioni nazionali. Lo studio Ichese ha evidenziato problematiche relative a trivellazioni e sismi (in particolare era stato analizzato il terremoto del 2012 in Emilia Romagna e Lombardia); in Basilicata e in altre regioni l’acqua è minacciata dalla contaminazione dell’industria petrolifera e sul territorio ormai la raffinazione di petrolio nazionale ed estero non rappresenta più un volano occupazionale. Non esistono dati di sicurezza sugli stoccaggi previsti per rendere l’Italia “l’hub del gas”.
Nei documenti sottoposti al vaglio degli iscritti, si dice tra l’altro che “abbiamo bisogno di valutazioni ambientali completamente diverse da quelle che abbiamo oggi, che troppo spesso vengono eseguite solo su una piccola fetta del problema e perdono di vista l’ambito complessivo”. A cosa pensate, concretamente, per uno degli aspetti da sempre cruciali per il rapporto tra investimento e sostenibilità ambientale e che, proprio di recente, ha registrato l’approvazione di una discussa riforma?
Noi intendiamo eseguire serie valutazioni d’impatto cumulativo, inserire le autorizzazioni ambientali in una pianificazione (energetica, di gestione dei rifiuti, della qualità delle acque ecc), integrare la valutazione ambientale con quella sanitaria, tutelare le aree SIC. Il contrario di quanto proposto nel decreto sulla VIA anche dopo il passaggio parlamentare in Commissione ambiente. Questo ci espone in primis all’ennesima procedura d’infrazione Ue (abbiamo speso 140 milioni di euro solo per i rifiuti) e a danni ambientali futuri difficili da ripianare quando abbiamo già importanti esiti del passato da affrontare. L’ONU ha chiesto agli Stati di investire in qualità dell’acqua e infrastrutture idriche che garantiscono 10.000 posti di lavoro per miliardo investito. Deve essere data priorità a garantire servizi ambientali adeguati e di qualità. Nel caso dell’acqua questo corrisponde a una gestione pubblica, l’unica in grado di garantire un adeguato controllo e autorizzazioni ambientali tutelanti.
Si parla anche di introdurre una tassazione e una etichettatura delle varie merci prodotte, la cosiddetta impronta ecologica ovvero quanta acqua, quanta energia sono state utilizzate e quale è stato l’impatto sull’ambiente. Un intervento, proporzionale al ciclo di vita, sui beni e prodotti che avrà comunque dei costi. A “monte” ma anche per il consumatore…
In realtà si intende soprattutto informare il cittadino dei costi ambientali dei beni. Questo a nostro parere spingerà verso l’acquisto di beni ad alto tasso di riciclabilità e a basso impatto ambientale. Questo non aumenterà la spesa per i cittadini ma favorirà i prodotti a filiera corta, stimolando la produzione sostenibile locale, l’economia e l’occupazione.
Economia circolare. Quali azioni si ritengono prioritarie per una politica di sostegno alla prevenzione dei rifiuti, al recupero di materia e al mercato dei prodotti post-consumo?
Facciamo troppi rifiuti inutilmente. Intendiamo ridurre l’usa e getta attraverso il vuoto a rendere e la vendita dei prodotti alla spina. Occorre anche premiare chi riprogetta i beni nell’ottica della durabilità e della riparazione, riformando il mercato dell’usato. I rifiuti prodotti vanno recuperati in materia, compresi quei materiali che oggi sono considerati scarti da bruciare ma in realtà sono utilizzabili per farne manufatti di qualità; basterebbe smettere di incentivare l’incenerimento e favorire il mercato dei beni derivanti da materiali post consumo, visti i piccoli extracosti rispetto all’utilizzo di materie prime vergini. Va spiegato ai cittadini che la priorità europea è quella del recupero di materia e non di energia; gli oltre 600 milioni di euro spesi in incentivi diretti per bruciare rifiuti saranno una buona base per spingere il mercato del riciclo. Va spiegato che i migliori vini italiani crescono su viti fertilizzate con compost di reale qualità e non con digestato da impianti a biogas; che le industrie che praticano la pressoestrusione della plastica mista e anche dell’indifferenziato, sono già una realtà.